Nobel per la chimica targato Trento

La teoria di Schechtman da una simulazione firmata anche da Ronchetti


Riccardo Valletti


TRENTO. Appena laureato in fisica e atterrato di recente a New York, Marco Ronchetti, ora docente di informatica a Trento, non avrebbe mai immaginato quanto lontano sarebbero arrivate le sue simulazioni. Era il 1979 quando entrò grazie a un dottorato nei grandi laboratori di ricerca Ibm, con i primi supercomputer che riuscivano a simulare graficamente la materia condensata. E fu proprio in una di quelle sessioni che insieme al gruppo di scienziati americani scoprirono la possibilità teorica di una formazione cristallina a base pentagonale. La chimica non sarebbe stata più la stessa.

«Fino ad allora, e ancora per molto tempo dopo - spiega Ronchetti - era stato stabilito per assioma che le formazioni cristalline si potessero verificare solo su figure geometriche triangolari, quadrate o esagonali». Ma nel frattempo un altrettanto giovane chimico israeliano, Dan Schechtman, premio nobel per la chimica quest'anno, aveva notato proprio in un materiale che analizzava durante un esperimento di routine quella formazione inspiegabile. «La nostra teoria matematica - racconta il professore - fu lo spunto teorico dal quale il professor Shechtman partì per spiegare il suo esperimento».

In seguito i gruppi di lavoro si unirono in workshop in California e in giro per il mondo, e le valide dimostrazioni scientifiche a quello che il mondo accademico internazionale si era già affrettato a definire come una svista colossale, portarono a rivedere i pilastri stessi della chimica moderna. «Con questa scoperta è cambiata la definizione stessa di cristallo, ed è nata quella di quasicristallo; i libri di chimica che studiamo oggi sono stati rivisti da pagina 20 in poi proprio grazie a quella scoperta». Il nome di Ronchetti risulta ancora tra i crediti dell'articolo sul Physical Rewiew Letters che valse il nobel a Schechtman, ma il bolzanino da tempo ha abbandonato quel campo di ricerca per l'informatica.

Oggi insegna all'università di Trento, e ricorda con affetto i tempi del laboratorio di New York, «È stato un onore partecipare a quel momento straordinario di scoperte scientifiche». Poi la riflessione sullo stato della ricerca italiana, «da allora non è cambiato nulla, anzi se c'era qualcosa di buono è andato perso; oggi rimane solo rammarico e una situazione inqualificabile». Parla di investimenti pubblici ma anche del privato, «la Ibm investiva in matematica e fisica e portava a casa tantissimi brevetti, ma in Italia il ruolo dei privati non è dello stesso peso, per questo è essenziale la presenza del pubblico». La ricerca premia quando non si pretendono risultati industriali immediati, spiega Ronchetti, «solo facendola a largo spettro si arriva a risultati come i quasicristalli, le cui applicazioni sono ancora in corso di definizione, ma che hanno stravolto uno dei paradigmi della chimica».













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