giustizia

Muore sciando, negato il risarcimento

La famiglia di un ragazzo romagnolo vittima di un incidente in pista chiedeva quasi 800 mila euro agli impianti di Folgarida



TRENTO. Stava affrontando la «nera» di Folgarida quando ha perso il controllo del sci, è finito fuori pista sbattendo violentemente. Poche ore dopo, al Santa Chiara, è morto. Era il 29 febbraio del 2008 quando Paolo Flamini, 21enne di Forlimpopoli rimase vittima di un tragico infortunio con gli sci. Una morte per la quale i familiari del ragazzo romagnolo hanno chiesto un risarcimento danni alla società impiantistica.

Una causa civile da quasi 800 mila euro con la quale si chiedeva al giudice di accertare la responsabilità degli impiantisti «in qualità di gestore degli impianti sciistici del comprensorio di Folgarida e concludente con gli sciatori un contratto atipico di skipass o del giornaliero, per omessa o carente manutenzione in sicurezza della pista n.1 nera di Folgarida». Una richiesta che, però, non è stata accolta dal giudice civile che ha rigettato la richiesta di risarcimento. E lo ha fatto sottolineando come in casi come questi, sia da tenere in debita considerazione anche il concetto di autoresponsabilità del singolo.

Un concetto - si legge - «secondo cui ognuno, quando si esercita in una pratica sportiva come la pratica dello sci, deve adeguare la sua velocità alle condizioni della pista, alle proprie capacità tecniche ed ai livelli di affollamento delle piste medesime, in modo tale da non essere un pericolo per sé stesso, ma anche per gli altri utenti.

Tale principio va affermato, con rigore, in tutte quelle circostanze in cui le piste sono bene innevate, prive di particolarità morfologiche e di costruzioni artificiali ed in cui l'utente contraente deve essere in grado di evitare, con un minimo di diligenza, attenzione e prudenza esigibile, situazioni di pericolo. Orbene, è emerso in maniera pacifica, in merito al sinistro, di cui è rimasto vittima il ragazzo che quest’ultimo usciva fuori pista e che urtava contro una superficie rigida come accertato dalla consulente tecnica d’ufficio nominata, non riuscendosi a comprendere, con assoluta certezza, se l’impatto sia avvenuto contro un albero, su cui la vittima del sinistro rimbalzava per finire poi a terra o il medesimo cadeva con violenza sulla neve compatta.

Non è stata, in questo senso, raggiunta la piena prova su tale aspetto della dinamica del sinistro, posto che nessuno dei testimoni escussi ha saputo ben specificare, se vi sia stato un urto verso uno degli alberi da parte della vittima, oppure se il medesimo abbia perso il controllo degli sci cadendo rovinosamente sulla neve compatta».

E sulla mancanza di reti di protezioni che avrebbero impedito l’uscita dalla pista del giovane romagnolo, il giudice precisa in sentenza che «Ulteriore elemento che risulta infondato e che non può essere accolto, è quello che dovrebbe ascriversi alla condotta omissiva della società, che non avrebbe predisposto le necessarie reti o misure di protezione, atte ad impedire che si verificasse la caduta fuori dalla pista. Non è stato, infatti, dimostrato dagli attori, che il luogo ove l’attore è uscito di pista, presentasse caratteristiche tali da richiedere la necessaria presenza di reti di protezione».













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