Morì nella trincea, ora il Parco rischia grosso 

Ribaltata in Cassazione la sentenza che scagionava Paneveggio per il decesso  del turista padovano finito con le ciaspole in un buco: «Andava segnalato»



TRENTO. Il 26 marzo del 2006 il corpo di Paolo di Lena, turista padovano all’epoca sessantaseienne, fu trovato senza vita in una trincea sul versante sud della Cima Iuribrutto, nel parco di Paneveggio. L’uomo, da solo, stava effettuando un’escursione con le ciaspole e, tradito dalla neve abbondante (siamo a 2.300 metri di quota), fu “risucchiato” dal foro realizzato durante la Grande Guerra, precipitando per alcuni metri. Fu cercato per giorni da decine di soccorritori, ma il corpo venne individuato casualmente solo 20 giorni più tardi, il 26 marzo, da una comitiva della Sat.

Per quell’incidente la moglie e i figli dello sfortunato escursionista hanno avviato una causa civile contro il parco di Paneveggio chiedendo un risarcimento di un milione di euro, motivando la richiesta con la mancanza dei cartelli che indicassero il pericolo a poche decine di metri dal sentiero. Una causa persa sia in primo che in secondo grado, con la motivazione – nella sostanza – che non era possibile per l’ente parco custodire la vastissima area di competenza, a maggior ragione al di fuori del sentiero segnalato e battuto, soprattutto nel periodo invernale (in estate le trincee sono facilmente visibili e individuabili). Di fatto, i giudici hanno ribadito il principio che la frequentazione dell’ambiente montano avviene a proprio rischio e pericolo.

È di qualche giorno fa, però, la sentenza della Cassazione che cancella le precedenti sentenze rinviando il processo alla Corte di appello di Trento (con diversa composizione) e sottolineando come le precedenti decisioni dei giudici abbiamo tenuto conto solamente della vastità dell’area custodita dall’ente parco (rappresentato dagli avvocati Giulio de Abbondi ed Enrico Caroli) senza considerare le circostanze. I giudice della Corte di Cassazione, terza sezione civile, hanno evidenziato in particolare che in primo grado e in appello non è stata considerata la vicinanza del sentiero al sito della Grande Guerra, presumibilmente facile meta per qualsiasi escursionista.

“In particolare – scrivono i giudici - avrebbe dovuto certamente considerarsi in proposito che, se la buca in cui era caduto Paolo di Lena si trovava ad una certa distanza (50 mt.) dal sentiero segnalato, quest'ultimo - classificato come escursionistico di tipo "E", gestito e mantenuto dall'Ente Parco e liberamente accessibile anche in pieno inverno - attraversava un sito turistico di particolare interesse soprattutto in ragione della presenza dei reperti storici della prima guerra mondiale che si trovano disseminati in prossimità di esso e che normalmente gli escursionisti hanno interesse a visitare. E avrebbe quindi dovuto accertarsi se in concreto poteva dirsi esistente la possibilità di una effettiva custodia, oltre che in relazione al percorso del sentiero segnato - in merito al quale non possono sussistere dubbi di sorta, data la sua estensione relativamente limitata e la sua destinazione alla percorrenza da parte dei visitatori in condizioni di sicurezza - anche in relazione alle aree immediatamente limitrofe, in cui risultano allocati i reperti di interesse per gli escursionisti, che è ragionevole presumere che questi ultimi possano intendere raggiungere nel corso della visita (almeno in mancanza di espresse limitazioni in tal senso adeguatamente segnalate)”.

Da qui la decisione di accogliere il ricorso dei famigliari di Paolo di Lena, assistiti dagli avvocati Cesare Janna ed Andrea Manzi. La palla passa ora – di nuovo – alla Corte d’Appello di Trento. (g.f.p.)













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