Meno lavoro, stesso stipendio «Così aumentiamo la qualità» 

Il caso della Zupit. Andrea Zomer ha deciso di passare da otto a sei ore al giorno, senza variare le paghe dei dipendenti della sua azienda di software. Alle spalle c’è una filosofia: «Dobbiamo tornare a pensare al nostro tempo libero»


daniele erler


Trento. «Io ho sempre pensato che lavoriamo troppo».

C’è un’azienda in Trentino dove ai dipendenti sono state ridotte le ore di lavoro, mantenendo invariato il compenso. Da 40 a 30 ore settimanali, da otto a sei ore ogni giorno, dal lunedì al venerdì. Con quale risultato? «Abbiamo migliorato la qualità della nostra vita. Ma è migliorata anche la qualità del nostro lavoro: e per noi è la cosa più importante», dice Andrea Zomer. È il titolare dell’azienda insieme ad altri due soci, Giorgio Zanoni e Massimo Telch.

Lavorare meno

La ditta si chiama Zupit e ha la sua sede a Trento, all’incrocio fra via Torre Verde e via Gazzoletti. È nata nel 2015 e si occupa in sostanza di sviluppare software personalizzati per altre aziende. Con l’obiettivo di rendere il loro lavoro più efficiente, rispondendo a quelle che sono le esigenze specifiche di ogni cliente.

Oggi, considerando dipendenti e collaboratori, Zupit dà lavoro a una ventina di persone. Quasi tutti sono sviluppatori o “product owner”: gran parte del loro lavoro è di fronte allo schermo di un computer, dove cercano di risolvere problemi, scrivendo righe su righe di codice. Da circa un anno e mezzo, l’orario di lavoro è per tutti lo stesso, senza eccezioni: sempre dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 14. Sei ore al giorno.

«È un’idea che avevo in testa da tempo. Anche in passato, in aziende che non erano mie, avevo provato a realizzarla, ma non c’ero mai riuscito prima – spiega Zomer -. Io ho sempre pensato che lavoriamo troppo. O almeno, che questo succede negli uffici, che è l’unico tipo di lavoro che conosco».

«Secondo me, c’è semplicemente poco equilibrio fra il tempo libero e il tempo speso al lavoro».

In altre parole: siamo ormai abituati a vivere per lavorare.

E a dimenticare che c’è anche altro, lì fuori, per cui vale la pena investire il nostro tempo: «Una persona normale esce alle sette di casa al mattino e torna alle sette e mezza la sera. Poi deve fare la spesa, mangiare, andare in bagno, fare la doccia e dormire. Il tempo che rimane è davvero poco. Si vive aspettando il weekend. Poi magari piove».

Lavorare meglio

«C’è un discorso di sostenibilità del lavoro che va abbinata alla sostenibilità della propria vita personale - dice Zomer -. Faccio l’esempio della nostra azienda. Fare lo sviluppatore significa fare un lavoro di intelletto. Persino un lavoro creativo: non ci limitiamo a scrivere codice, dobbiamo trovare le soluzioni migliori ai problemi che ci troviamo di fronte. Ci siamo accorti che se stiamo meglio nella nostra vita, allora anche la nostra produttività migliora».

Ridurre l’orario, paradossalmente, ha dunque un effetto positivo. «È proprio quello che sta succedendo. Abbiamo misurato la produttività: c’è stata una riduzione intorno al sette per cento, che è inferiore rispetto al numero di ore in cui non lavoriamo più».

«Allo stesso tempo, se quando lavori sei più fresco, aumenta la qualità del lavoro. E noi non siamo pagati per il numero di righe di codice che scriviamo, ma per la qualità di quello che facciamo».

Il tempo libero

Così poi, con i pomeriggi liberi, ogni lavoratore può decidere cosa fare. C’è chi prende la bicicletta e va a farsi un giro. Chi gioca in una squadra di pallanuoto. Chi passa più tempo con i figli. Ma c’è anche chi continua a lavorare come libero professionista, con la partita iva, arrotondando quello che già guadagna. Ma ognuno di loro ha la possibilità di scegliere: «Abbiamo riscoperto le nostre passioni, i nostri affetti e i nostri hobby - dice Zomer - e così poi torniamo anche più volentieri al lavoro».

Ma è un modello che può funzionare davvero? E che può essere esportato anche in altre realtà? «Questo non lo so, ma c’è un altro vantaggio che abbiamo sperimentato - risponde -. Nel nostro settore è difficile assumere nuove persone: perché c’è più richiesta che offerta sul mercato. Con il modello delle sei ore, siamo diventati più attrattivi. Così siamo riusciti ad assumere persone valide, che altrimenti forse non avremmo assunto».

Perché se poi lo chiedi ai lavoratori, loro non hanno dubbi. Questa novità ha cambiato la loro vita. In meglio.













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