nel 2017 il dramma in marocco 

«Maurizio, cuore e impegno per l’agricoltura» 

A un anno dalla morte di Maurizio Forti, dirigente della Cia, il ricordo commosso degli amici



TRENTO. Pubblichiamo il ricordo che gli amici di Maurizio Forti hanno inviato al “Trentino”. Forti, contadino e dirigente della Confederazione italiana agricoltori del Trentino, morì un anno fa in Marocco, in un incidente in moto.

«In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità”, abbiamo cantato durante l’ultimo saluto: Maurizio invece, come il suonatore Jones di De André, guardava tutto con gli occhi della speranza e della continua voglia di migliorare, nella vita come in campagna. Era stato un pioniere del biologico, nei suoi frutteti: ci aveva creduto, insieme ad altri in Trentino, quando ancora sembrava una cosa strana, per pochi, e invece lui già capiva che era una scelta necessaria, una scelta di responsabilità nei confronti dell’ambiente e delle nostre comunità. Una visione dell’agricoltura che andava oltre la mera attività economica, perché coltivare la terra per Maurizio significava averne cura, rispettarla e tutelarla per le future generazioni, nella consapevolezza che non esiste un modo neutro di fare le cose, e che anche in agricoltura bisogna metterci la testa e il cuore, fare delle scelte. Impegnarsi. L’impegno è stata la cifra del suo percorso, tradotto in una lunga militanza nel suo sindacato agricolo, la Cia, un soggetto nel quale credeva e che vedeva come uno spazio di riflessione, di condivisione, di lavoro collettivo per immaginare orizzonti sempre nuovi, migliori, per il mondo contadino trentino. Impegno non individuale e solitario, perché lui che amava Cuba aveva chiaro il messaggio di Ernesto Che Guevara, che ai figli aveva scritto di ricordarsi che “ognuno di noi, da solo, non vale niente”, e di essere “sempre capaci di sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo”. Questo spirito di solidarietà lo aveva portato a intrecciare le storie del nostro Trentino con quella dei Sem Terra brasiliani, guidati da quel João Stedile i cui avi erano emigrati da queste nostre montagne. Sarebbe certamente felice di sapere che quest’estate, la prima in sua assenza, il raccolto dei suoi campi è stato portato avanti da una allegra squadra multietnica, con i suoi vecchi amici trentini a condividere il lavoro con gli operai polacchi e con ragazzi che hanno attraversato il mare e che cercano qui, tra i nostri monti, una nuova speranza. I chicchi di libertà, pace, giustizia e solidarietà che ha seminato nella sua vita sono il più bell’esempio di quell’umanesimo contadino, semplice e autentico, di cui era un faro: per noi che lo ricordiamo, sono il lascito più importante, i semi che vogliamo continuare a coltivare per credere ancora che un mondo migliore si può costruire, partendo dai piccoli gesti e dai grandi ideali».















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