Malaria, per Sofia contagio in ospedale 

Depositati i tre faldoni dei periti della procura. Individuati i momenti possibili dello scambio fra il sangue delle bimbe



TRENTO. I primi sono stati gli esperti dell’Istituto superiore di sanità, poi è arrivata la conferma da parte dei tecnici del laboratorio di Negrar e ora anche i periti della procura hanno indicato nell’ospedale Santa Chiara il luogo in cui la piccola Sofia Zago è stata contagiata dalla malaria che l’ha uccisa a soli 4 anni. Ieri mattina alle 10 i periti si sono presentati nell’ufficio del procuratore capo Marco Gallina e hanno depositato i tre faldoni, frutto di molte settimane di analisi e di verifiche. Diverse le indicazioni nelle centinaia di carte che saranno attentamente analizzate anche per fare nuovi accertamenti. Ma il risultato nudo e crudo della perizia è che il contagio è avvenuto all’interno dell’ospedale. Già con i risultati di laboratorio questa indicazione era molto «forte». Gli esami infatti avevano individuato un’identità genetica fra la malaria che aveva colpito una delle due sorelline appena tornate dall’Africa (sono guarite entrambe) e quella che ha portato alla morte della piccola Sofia.

L’ipotesi della malaria del viaggiatore è stata esclusa per il viaggio compiuto dalle valige e dalla famiglia di ritorno dall’Africa. Mamma, papà e i tre figli, infatti, avevano fatto scalo in Turchia, erano atterrata a Malpensa, si erano fermati a Brescia perché le piccole stavano male, erano quindi arrivati a casa, erano andati all’ospedale di Tione per arrivare al Santa Chiara dopo un passaggio dalla guardia medica. Giorni, spostamenti, cambiamenti di temperatura che non avrebbero potuto «preservare» una zanzara africana.

Stesso ceppo e un unico luogo in cui le bimbe malate e Sofia si sono trovate insieme. Queste le conclusioni di tutti gli esperti che si sono occupati di indagare sulla morta della bambina deceduta il 4 settembre all’ospedale di Brescia dove era stata trasferita d’urgenza da Trento.

Fra le analisi dei periti della procura sono stati anche individuati i momenti in cui potrebbe essere avvenuto il contagio. La procedura è stata analizzata e valutata indicando gli «anelli deboli», le situazioni che per ragioni che non sono state ancora chiarite avrebbero potuto permettere un contatto fra il sangue di una delle due bambine africane e la piccola Sofia. Insomma ci sono nei tre faldoni ulteriori elementi che possono essere utilizzati dagli investigatori (delle indagini se ne occupano i carabinieri del Nas, il nucleo antisofisticazioni) per fare altri accertamenti e portare ad un quadro completo di quanto successo. Da parte sua anche l’azienda sanitaria aveva incaricato un gruppo di esperti per analizzare le procedure (ritenute corrette come ha sottolineato il direttore generale dell’Apss Bordon) e il contributo era stato depositato in procura per poter essere valutato ed eventualmente considerato nell’indagine.

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