La puzza percepita è un reato

La Cassazione stabilisce questo principio. La vicenda del Navicello potrebbe riaprire la questione


di Luca Marsilli


ROVERETO. E’ vero che in assenza di una legge provinciale sulla gestione di impianti di compostaggio che ne regoli l’attività, non ci sono strumenti amministrativi che consentano al comune di imporre a Pasina modifiche del processo di lavorazione e delle strutture in modo da contenere la puzza. Ma non è vero che di fronte ad una situazione di fatto come quella trentina - oltre alla legge per gli impianti di compostaggio, manche anche una normativa che limiti le emissioni di odori molesti - cittadini e amministratori siano del titto impotenti.

Proprio in assenza di norme, ha stabilito infatti la Cassazione tre anni fa, l’emissione di odori fastidiosi e molesti, che condizionino anche solo psicologicamente la vita di chi è costretto a sopportarli, trova applicazione una previsione del codice penale: l’articolo 674, che punisce il «getto pericoloso di cose». Norma aperta nella propria definizione alle situazioni più diverse, è stata usata per 40 anni come “ponte” nel contrastare l’inquinamento di ogni genere, quando nemmeno per gli inquinamenti idrici e del terreno esistevano normative specifiche. Ora viene utilizzato, e secondo la suprema corte con piena ragione, per imporre limiti tollerabili alle emissioni di ogni tipo, tra le quali rientrano a pieno titolo gli odori.

Per la Corte - la sentenza è del gennaio 2008, quando è stata chiamata a valutare il ricorso di due aziende produttrici di trippe a Crema, condannate dal tribunale locale per gli odori nauseabondi - sono moleste le emissioni odorose che provocano disturbo, fastidio, turbamento della tranquillità e della quiete: «Un impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione». Insomma, non è necessario che la puzza provochi effettivamente vomito e malori, ma che chi deve subirla la percepisca come fastidio non lieve. Con il giudice chiamato a farsi interprete del concetto di tollerabilità o meno delle emissioni odorose.

Questo tipo di valutazione secondo i magistrati va compiuta sempre, sia in costanza che in assenza di norme specifiche in materia, se si intende applicare il reato punito dall’articolo 674 ai casi di «molestie olfattive». Ovvero, il solo superamento di eventuali limiti fissati, non costituisce di per se questo reato se la puzza non è oggettivamente insopportabile. Mentre al contrario non si potrebbe sanzionare la puzza applicando la stessa norma se i limiti fossero fissati e rispettati, perchè a quel punto si presume che i limiti fissati siano tali da ammettere solo molestie tollerabili.

Messo tutto assieme, uno strumento per «salvare» i roveretani dalla puzza c’è, ed è il ricorso al giudice penale. Che può essere attivato da un singolo cittadino - come fece a suo tempo Irzio Vanzo, ottenendo almeno in primo grado la condanna di Pasina - ma anche e a maggior ragione dalle autorità cittadine, cui spetta sempre e comunque la salvaguardia della salute dei roveretani. E che forse potrebbero usare questo argomento anche in modo costruttivo, per ottenere uno “spontaneo” intervento sugli impianti o sul ciclo di lavorazione da parte di Pasina.

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