La «casa» che aiuta i giovani a guarire

A Gardolo sette ragazzi under 30 seguono un percorso di riabilitazione. Accompagnati da psichiatri e nutrizionisti


di Matteo Ciangherotti


TRENTO. Sette ragazzi tra i 14 e i 30 anni che ogni giorno condividono il medesimo destino. Sotto lo stesso tetto. Quello di via Palazzine a Gardolo dove sorge dal 2001 la Comunità terapeutica per la cura dei disturbi del comportamento alimentare. Anoressia e bulimia nervosa (i più tristemente “famosi”), disturbo da alimentazione incontrollata, obesità, picacismo. Sette ragazzi e ragazze (i posti in comunità sono dieci in totale) che vivono insieme “incontrandosi” e “scontrandosi” lungo un percorso terapeutico difficile e doloroso. «La nostra comunità accoglie principalmente persone giovani e si occupa del loro percorso di recupero e riabilitazione – racconta il direttore Valerio Costa -; i disturbi del comportamento alimentare rappresentano una paralisi, un blocco, una sospensione del proprio tempo evolutivo. Noi cerchiamo di rimettere in movimento i nostri pazienti».

La struttura si trova a Gardolo, immersa nel verde della Valle dell’Adige. All’esterno vi sono anche un campo da gioco e una serra. Dentro, oltre alle camere, un laboratorio di arte-terapia, una sala cinema e una piccola biblioteca. I ragazzi vengono seguiti da una equipe di specialisti composta da uno psichiatra, uno psicoterapeuta, un medico nutrizionista, una dietista, una cuoca, due docenti. La comunità è convenzionata con l’Azienda sanitaria ed è stata realizzata dal Cad di Trento, il Centro accoglienza prevenzione e trattamento delle dipendenze patologiche. Dal 2008 si è dotata di personale specialistico tale da permettere una propria e diretta autonoma gestione e un più efficiente perseguimento degli obiettivi prefissati.

«Lavoriamo anche molto con le famiglie – spiega Costa – in modo da comprendere anche la storia e l’origine del disturbo. Questi problemi di dipendenza patologica non sono certo determinati dalla nascita ma nascono nel contesto familiare e sociale, vi sono stimoli che inducono la persona a rifugiarsi in un sintomo come il disturbo alimentare. Per venirne fuori occorre farsi carico del dolore; nei casi di anoressia spesso la famiglia incentra il rapporto col proprio figlio quasi esclusivamente sul cibo e sul peso, ma così si perde l’insieme delle comunicazioni, si tende ad assolutizzare un solo aspetto commettendo un errore nel rapporto».

Un problema cronicizzato quello dei disturbi alimentari e per questo così difficile da risolvere: «Tanto più si resta dentro il sintomo tanto più si fatica a uscirne; il sintomo si trasforma in una seconda pelle, è un loro potere». Una seconda pelle da “salvare” nel rapporto quotidiano con la realtà. Ecco che così, quando le condizioni di salute e il peso corporeo lo permettono, i ragazzi vanno a scuola prima di rientrare il pomeriggio in comunità. «Spesso scolasticamente conseguono ottimi risultati – continua Costa -, sul versante cognitivo infatti hanno un’eccellenza, è sul versante emotivo che si scaricano tutte le difficoltà».

I ragazzi in comunità svolgono sedute di psicoterapia individuale e di gruppo, ma anche laboratori artistici, uno in particolare focalizzato sull’immagine corporea. Si curano nel dettaglio gli aspetti riguardanti il rapporto col cibo e durante la giornata, prima della cena, vengono preparati diversi spuntini. La cuoca della comunità partecipa a ogni riunione dello staff, in modo da modulare ogni esigenza personale sulle preparazioni alimentari. Nulla è lasciato al caso. Anche i familiari periodicamente incontrano una psicoterapeuta esperta in dinamiche genitoriali e ogni mese viene organizzato un incontro collettivo. «Siamo cambiati più noi che nostra figlia» si sente spesso ripetere Valerio ogni volta che riesce, per fortuna, a dimettere un ragazzo giunto alla fine del proprio cammino terapeutico.













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