la storia

«Il rispetto s’impara da bambini»: l’appello per battere l’omofobia

Un giovane trentino racconta con una lettera la traumatica esperienza avuta quando aveva 8 anni. «Gli adulti educhino i più giovani ad accettare la diversità. Non ci sono solo il bianco e il nero»



TRENTO. A volte, la discriminazione passa anche attraverso piccoli episodi. Una frase irridente, un sorriso, un gesto. Pillole di più o meno consapevole crudeltà, che provocano danni devastanti. Ne sa qualcosa un nostro giovane lettore che, omosessuale, ha vissuto da bambino questa esperienza e ha deciso di raccontarla al “Trentino” . «Ai tempi frequentavo la giovanile dei Vigili Volontari del Fuoco, i "pompieroti" – scrive –, come si dice dalle mie parti. Mi piaceva molto non soltanto perché ci si divertiva la sera a sentirsi un po’ più grandi, un po’ più responsabili. Mi piaceva soprattutto perché mi riempiva di orgoglio esser parte di quell'associazione, in cui anche mio padre aveva prestato servizio per trent'anni. Non vedevo l'ora di tornare a casa la sera, e raccontargli tutto. Scorrazzavamo in giro per la caserma, alla guida delle autobotti, mettevamo in moto la camionetta, ci sgridavano, ma sempre con un sorriso. E poi le esercitazioni distrettuali, i convegni provinciali. A dirla tutta, c'era una cosa che ci annoiava un po’: le manichette antincendio, i lunghi tubi arrotolabili che noi lanciavamo, piegavamo, riavvolgevamo. All’estremità di una manichetta c'è la fonte di erogazione dell'acqua, all'altra estremità c'è la "lancia". Mi ricordo che in una di quelle serate un bambino più grande, che in realtà con me non si era mai risparmiato in battute e risolini vari, brandendo la lancia in mezzo alle gambe mi urlò di fronte a tutti: "vieni qui dai, tanto lo sappiamo che hai la f...!". Risa di scherno sulle bocche degli altri, sorrisi complici anche su quelle degli istruttori. Ricordo chiaramente di non essermi mai sentito così solo. Decisi di non presentarmi più alle esercitazioni, tirai fuori una scusa che ora non ricordo. Uno può dire: “beh, non vale la pena mollare una cosa a cui tieni così tanto per un episodio simile, potevi soprassedere, potevi andare oltre, potevi restare e lottare”. Ma lottare per cosa? In fondo c'era qualcosa di vero in quella frase, c'è sempre una verità negli insulti. Nei miei movimenti, nel mio modo di rapportarmi agli altri, nella confidenza che avevo soprattutto con le ragazze, nel disinteresse per il calcio e i motori, forse c'era qualcosa di femminile. Ancora oggi, provo un grande odio verso me stesso, quando mi sorprendo a prestare attenzione al tono della mia voce, a evitare argomenti troppo "spinti". Mi odio quando evito di andare in certi luoghi per timore di poter incorrere in episodi simili. Ma è passato molto tempo, ora sono una persona diversa, ora sono in grado di rispondere per le rime a chi mi chiama "frocio" o "reciòn", perché so che dietro di me ci sono amici a cui ho confidato tutto, pronti a prendermi al volo se dovessi cadere. Ma allora avevo otto anni. Il punto è proprio questo: un bambino di otto anni non può difendersi, non è in grado di rispondere. Un bambino di otto anni, nemmeno lo sa cos'è l'orientamento sessuale, sa solo di sentire emozioni, sentimenti contrastanti. Sente il conflitto tra quel che si muove dentro di lui e quel che gli insegnano a catechesi, in famiglia, all'oratorio. Gli adulti invece dovrebbero saperlo, i genitori, le maestre, gli educatori. Gli adulti dovrebbero educare i bambini al rispetto per le diversità, ad un'idea di bellezza che non conosca solo il bianco ed il nero, perché ci sono molti colori, moltissime sfumature. E non voglio qui dare giudizi, non ho più risentimenti, non ho accuse da formulare. Ho evitato con cura la parola "omofobia" perché nasconde una verità: il fatto che a volte non feriamo le persone perché siamo cattivi, ma semplicemente perché siamo leggeri. E sono sicuro che nemmeno quel ragazzino fosse cattivo, semplicemente non si rendeva conto: del resto, anche lui era solo un bambino. Ecco perchè sono convinto che è compito degli adulti spiegare ai bambini che ci sono parole che feriscono e che non dovrebbero essere usate, parole che ammutoliscono e lasciano disarmati, parole che escludono, come hanno fatto con quel bambino di otto anni che non è mai diventato un pompiere».

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