Il rifugio diventa un’aula universitaria di architettura

Il professor Claudia Lamanna ha portato i suoi studenti al rifugio Gardeccia per studiare il paesaggio montano


di Martina Bridi


TRENTO. Una lezione universitaria al rifugio Gardeccia? Possibile, per gli studenti del corso di laurea in Ingegneria edile architettura che, tra lezioni in aula e escursioni in montagna, hanno approfondito il tema della progettazione architettonica dei rifugi alpini con il professor Claudio Lamanna: «Qualche caricamento di foto e commenti in tempo reale sui social network (la rete arriva ormai anche in alta quota) ha provocato, in soli due giorni, una cinquantina di simpatici commenti da parte di ex allievi di vari anni di corso: “Grande, prof!” . È il miglior riconoscimento che gratifica queste nostre iniziative didattiche».

Perché quest’anno ha scelto l’argomento dell'architettura nei rifugi alpini?

“Quest’anno ho raccolto la sollecitazione del collega Paolo Tosi del Dipartimento di Fisica, con il quale condivido l’amore per l’ambiente alpino, ad occuparmi di un tema che sta suscitando interesse, discussioni e differenti punti di vista di chi vive la montagna: la progettazione o riprogettazione dei rifugi alpini, tra esigenze di modernizzazione, e desiderio di conservazione dello spirito originario dei padri. L’evoluzione e il mutamento in atto dei frequentatori della montagna esprimono esigenze diverse e talvolta nuove, non solo in termini di adeguamento dei servizi, che aprono un acceso dibattito culturale. Di qui la necessità di una ricerca per sperimentare, anche coinvolgendo gli studenti, tipologie, progetti culturali e soluzioni alternative sui quali aprire un confronto non ideologico”.

Com'è andata l'esperienza con gli studenti al rifugio, lontana dalle aule universitarie?

“Fare lezione sul campo, sostituire le pareti di un’aula con quelle del gruppo del Catinaccio, è un’esperienza che proietta gli studenti al centro della questione. Incontrare maestri arrampicatori, grandi guide alpine – oggi gestori di rifugi- nel loro ambiente credo sia una forma didattica e un’esperienza formativa che avvicina scuola e società. Non è un caso che un ente come l’Accademia Trentina della Montagna abbia contribuito alla realizzazione dell’evento, in termini culturali ma anche sostenendo finanziariamente la nostra uscita in quota con gli studenti”.

Che feedback ha avuto dagli studenti?

“L’adesione e l’entusiasmo degli studenti sono stati molto positivi. All’aperto, in un ambiente dolomitico così straordinario, dove ci si potrebbe aspettare difficoltà di concentrazione, ho riscontrato una attenzione alle lezioni così totale, più alta che in aula. Merito forse anche del tema che ha suscitato grande interesse, della qualità degli intervenuti, della interdisciplinarità dei contributi”.

Qual è l'importanza di portare gli studenti sul luogo?

“Due giorni passati sul campo, pernottando in rifugio, sono stati utili per un contatto non solo tra gli studenti, ma anche tra i docenti su di un comune tema progettuale, nello stesso tempo tecnico e culturale. Nello specifico, ci si è confrontati tra docenti ed esperti su delle discipline di Antropologia, Fisica, Tecnologia, Sostenibilità ambientale – che convergono nel progetto di architettura. L’incontro sul campo con committenti e i fruitori del progetto, rappresenta inoltre una simulazione dell’attività professionale del progettista, che sempre si deve confrontare con i diversi operatori”.

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