Il papa guerriero che 500 anni fa governò ad arte

Oggi cinque secoli dalla morte di Giulio II Un mecenate protagonista del Rinascimento


di Giorgio Dal Bosco


di Giorgio Dal Bosco

Oggi, 21 febbraio, 500 anni fa, moriva il “papa guerriero” ma nel ruolo di mecenate anche uno dei più brillanti e illuminati dei papi: Giulio II Della Rovere, certamente un protagonista del Rinascimento.

Il 18 febbraio, 61 anni dopo, moriva a 89 anni Michelangelo, l’immortale artista chiamato proprio da Giulio II ad affrescare la volta della Cappella Sistina.

Il 28 febbraio 2013 sarà l’ultimo giorno di pontificato di Benedetto XVI° che sempre in febbraio ha annunciato le sue dimissioni.

A marzo, mese in cui è nato Michelangelo (1475), nella Cappella Sistina, e dunque sotto la volta michelangiolesca e a fianco degli affreschi dei vari Botticelli, Pinturicchio, Ghirlandaio, Perugino (Il Giudizio Universale è di quasi trent’anni dopo) come da secoli si svolgerà il conclave che nominerà il nuovo pontefice.

Tre date storiche per la Chiesa e per il mondo.

Tre date, un unico storico mese: il mese di febbraio con tre date - appunto- che sono entrate a pieno titolo nella storia. Il 1513,il 1564 e questo tormentato 2013 che per la Chiesa e per kil mondo - con il prematuro e volontraio addio del Papa - segna un momento si svolta probabilmente foriero di grandi novità..

Che Giulio II Della Rovere fosse più un Garibaldi che un pastore d’animo è risaputo. Amante di non poche donne – padre di tre figlie e qualche storico lo vorrebbe perfino malato di lue – nepotista anche lui anche se meno del predecessore (se si esclude i dieci giorni di pontificato del Piccolomini, Pio VI) Alessandro VI uno dei Borgia che la storia annovera tra i più cinici e immorali, pochi giorni aver cinto la tiara – aveva sessanta anni – infatti, distribuì enormi favori ai suoi più stretti parenti, specialmente al nipote.

Poi governò e comandò a cavallo e in prima linea il suo esercito alla conquista di stati e staterelli, nel tentativo non solo di recuperare quanto era stato perso dal predecessore, ma anche, in parte riuscendovi, a farci la cresta sulle riconquiste.

I tre titani dell’arte

L’umiltà non era il suo forte, ma da questa benvenuta carenza l’arte con Bramante, Raffaello e soprattutto con Michelangelo potrà trionfare recando a noi posteri le opere d’arte probabilmente insuperabili vita natural durante.

Certo è che questi tre titani dell’arte, favoriti per un verso dal mecenatismo e per un altro dalla politica camaleontica di Giulio II, covarono reciproche invidie e diedero inizio a liti furiose che, mutatis mutandis, De Chirico, Manzù, Guttuso ed altri erano dei fratelli siamesi.

Quando Giulio II convoca a Roma (1505) il trentenne Michelangelo che da tempo fa tanto parlare di sé i Medici, Borgia gli Orsini, i Colonna e compagnia cantante, gli commissiona un mausoleo che ricoveri, ma tempo debito, la sua salma. Michelangelo parte subito per Carrara, porta a Roma massi di marmo straordinari, comincia a scolpirli ma riceve l’ordine di sospendere i lavori. L’artista va su tutte le furie e manda al diavolo Giulio II. Scriverà sospettando intrighi: “Tutte le discordie che nacquono tra papa Iulio e me, fu la invidia di Bramante e di Raffaello da Urbino: e questa fu causa che non seguitò la sua sepoltura in vita sua, per rovinarmi: e avevane bene cagione Raffaello, che ciò che aveva dell’arte, l’aveva da me”.

La rabbia di Michelangelo

La rabbia di Michelangelo si placa in Romagna quando il papa, lì nel 1506 al comando delle sue truppe, gli commissiona una gigantesca statua in bronzo che lo raffiguri vincitore.

Posta davanti a San Petronio a Bologna, poco dopo la statua viene abbattuta e distrutta dai signori locali Bentivoglio (alla faccia del cognome!) che riescono a liberarsi dei papalini invasori.

Il 1506, un ano importante anche per Trento

Il 1506 è un anno importante anche per Trento perché è nel giugno di quell’anno che Giulio II° conferma il vescovo Giorgio Neideck, predecessore di Bernardo Clesio, a capo del principato vescovile di Trento.

Ma capita soprattutto che l’imperatore Massimiliano, in viaggio per Roma per cingere davanti al papa la corona imperiale, venga bloccato a Trento dai Veneziani su istigazione di Luigi XII, re di Francia, cui Giulio II in una delle sue tante giravolte di alleanze, si era schierato contro.

A posteriori sarà anche con questo episodio conclusosi con l’incoronazione dell’imperatore nel duomo di Trento anziché a Roma, che emergono l’importanza strategico-geografica di Trento nonché l’equidistanza dei trentini tra papato e impero situazioni che metteranno d’accordo venti anni dopo Paolo III Farnese e Carlo V nello scegliere Trento come sede del famoso concilio convocato in risposta al Luteranesimo e quindi alla controriforma.

E sempre Giulio II, nel febbraio dell’anno precedente alla propria morte, nomina Bernardo Clesio arcidiacono assegnandogli un canonicato nel Capitolo di Trento.

La prima tappa della carriera di Bernardo Clesio

E’ questa la prima tappa della straordinaria “carriera” del nostro più famoso principe-vescovo Bernardo Clesio.

Ma torniamo a Giulio II che per riavere al suo servizio Michelangelo aveva perfino mandato un legato alla Signoria di Firenze per convincerlo “sotto pena della sua disgrazia” a tornare a Roma per lavorare per lui.

Il primo risultato fu quello di Bologna e della sua statua distrutta che, pare, sia stata fusa per fare un cannone. Riottoso o meno, Michelangelo il 10 maggio 1508 comincia i lavori della volta della Sistina.

Il tranello dell’architetto Bramante

Anche qui, sospettoso, l’artista teme un tranello da parte di Bramante l’architetto della Basilica, sospettando che ad indurre Giulio II ad affidargli quel ciclopico lavoro sia stato proprio lui per fargli fare un clamoroso flop. Invece, Michelangelo, pur lamentandosi con il papa di essere più che altro uno scultore, ci prende gusto con gli affreschi raccontando molti anni dopo che “el disegno primo detta opera furono dodici apostoli nelle lunette, e ‘l resto in certo patimento ripieno d’ornamenti come s’usa: di poi, cominciata detta opera, mi parve riuscissi cosa povera; mi domandò (Giulio II ndr), perché; io gli dissi: perché furon poveri anche loro. Allora mi dette nuova commessione, che io facessi ciò che io volevo, e che mi contenterebbe, e che io dipingessi insino alle storie di sotto.”

Nell’ottobre del 1512 il lavoro di Michelangelo è visibile a tutta Roma e – scrive il Vasari, biografo anche di Michelangelo – “sentissi di riscoprirla correre tutto il mondo da ogni parte e questo bastò per fare rimanere le persone trasecolate e mutole.”

Durante le alterne sorti belliche tra la Lega Santa stipulata contro i francesi e dopo un tentativo fallito di alcuni cardinali di deporre il papa, Giulio II– siamo appunto nell’autunno del 1512 - si ammala. Stando alla storia d’Italia di Indro Montanelli la mattina del 4 febbraio il papa chiama il cerimoniere e detta le istruzioni per il funerale. “I cardinali non vedevano l’ora che il Pontefice li liberasse dalla sua incomoda presenza, ma Giulio, nonostante i continui collassi non si decideva ad accontentarli. Negli intervalli di lucidità riceveva ambasciatori e prelati, dettava lettere, impartiva ordini. Teneva sotto il letto una bottiglia di malvasia che tracannava di nascosto ai medici i quali invano tentavano di propinargli i comuni farmaci.

Ogni poco faceva capolino nella stanza il confessore, ma Giulio regolarmente lo cacciava bestemmiando e brandendo l’inseparabile bastone. Il 20 febbraio, presagendo la fine, (morirà, punto il giorno dopo, ndr)si decise finalmente a ricevere il viatico, quindi chiamò a sé i cardinali e al loro cospetto dichiarò di essere un gran peccatore e di aver malgovernato la Chiesa.”













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