Il centro giovani finisce i soldi. E chiude

Oggi ultimo giorno per il Gec di via Medici. Il direttore di “Si Minore onlus”: «Mai finanziati. Trento decida le sue priorità»


di Luca Marognoli


TRENTO. Niente più partite di ping-pong o calcetto. Niente più aiuto per i compiti. Niente più laboratori creativi e momenti di svago con i coetanei. Il Centro di aggregazione giovanile Gec di via Medici 8, in Clarina, oggi chiude. Dopo 6 anni di strada percorsa assieme ai giovani della città, ha finito la benzina. Luca Agostinetto è il direttore dell’associazione “Si Minore”, che gestiva il centro, mettendo in campo 2 operatori, 3 servizi civili e una squadra ben collaudata di dieci volontari per il doposcuola. «Il centro aperto - spiega - è la metafora della frontiera: trovare un luogo franco dove incontrarsi, capirsi e conoscersi. La famiglia, la scuola, la strada entrano in contatto in maniera coinvolgente e accattivante per responsabilizzare i ragazzi».

Che attività svolgete?

Il Gec è un centro dove non si paga, si può frequentare liberamente. Chiediamo l'iscrizione a chi viene regolarmente e partecipa ai laboratori, per responsabilizzare il ragazzo, le famiglie, creare un sistema di rete e renderci visibili. Famiglie che sono ben contente di sapere che il proprio figlio, anziché in strada, sta in una realtà che offre stimoli interessanti e aiuta a fare i compiti. Cosa non da poco, perché gli altri centri aperti non hanno il doposcuola. C'è chi viene a fare attività varie, come giocare alla playstation, a ping-pong, calcetto, o frequentare i laboratori creativi, i progetti musicali, artistici, sul legno, la ceramica o svolgere attività ludiche, come tornei e uscite.

Quella dei compiti è un’attività molto gettonata...

Sì, nel nostro doposcuola tra l'altro c'è una bella rete di volontari: insegnanti in pensione e studenti universitari. La cosa bella è che questo centro, oltre ad avere fornito un bel punto di riferimento per i ragazzi, ha anche rappresentato un momento di aggregazione per gli adulti e il mondo del volontariato.

Veniamo al tasto dolente: perché chiudete?

Il motivo è molto semplice. Noi il Gec lo avevamo aperto perché ci eravamo resi conto che serviva ai nostri ragazzi degli appartamenti protetti. Si tratta di giovani allontanati dalle famiglie o minori stranieri non accompagnati, che vengono seguiti dagli assistenti sociali. Avevamo bisogno di un luogo di medio scambio dove portare il territorio vicino a loro. Siamo partiti, quindi, prima di avere un finanziamento. Non è che poi ce l'abbiano dato e ora ce lo tolgono, non è mai arrivato. Ma da tre anni a questa parte siamo in perdita grave perché non riusciamo più a fare quei risparmi negli altri centri di costo che ci consentano di offrire qui un servizio gratuito. L'affitto è di 24 mila euro annui, al quale si aggiungono gli stipendi dei due operatori, sui 30 mila l'uno.

Nei contributi facevate affidamento...

La competenza sull’attribuzione era provinciale fino al 2013, poi è diventata comunale, al che ci siamo ringalluzziti per i molti attestati di stima che avevamo ricevuto da Palazzo Thun. Il quale ha sempre apprezzato la nostra attività: al Gec abbiamo 200 iscritti e una ventina di ragazzi al giorno, con punte al sabato e l'estate. La stessa assessora Franzoia è venuta a visitare il centro per attestare la vicinanza del Comune, salvo comunicare poi che nemmeno quest'anno saremmo stati finanziati. La questione è un po' scomoda: evidentemente non vogliono allargare la torta. Bisognerebbe ripensare i fondi che arrivano agli altri tre centri di aggregazione, che sono forse esagerati. Noi ci saremmo accontentati di meno della metà di quelle somme.

A quanto ammontano?

Purtroppo non c'è una totale trasparenza e non lo sappiamo, però sicuramente di più di quanto a noi servirebbe. Noi non chiudiamo per ripicca, ma perché non siamo più in grado di andare avanti. Tant'è che nella tavola rotonda che organizziamo oggi, dal titolo “Quale accoglienza, quale società” (alle 10.30, alla Circoscrizione Oltrefersina) vogliamo porre la questione su quale sia il pensiero delle istituzioni in termini di accoglienza e risposta ai bisogni soprattutto dei più giovani. Sul perché si taglino servizi più facili da chiudere, che però rappresentano i presidi territoriali per prevenire il disagio e risparmiare costi elevatissimi per il recupero. Vorremmo che ci fosse un dibattito aperto: signori, ci sono meno soldi, cosa facciamo? I minori sono solo un bisogno al quale dare risposta o hanno un diritto ad essere accolti? In una città ricca come Trento questo deve essere un tema forte.













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