«Il candidato presidente? Meglio fuori dalla politica» 

Lo stallo del centrosinistra letto dall’ex onorevole, 15 anni a capo della Provincia «Proposte autorevoli possono uscire dal confronto, non è mai troppo tardi»


di Lorenzo Dellai


TRENTO. Si discute di superamento del Centro Sinistra Autonomista. Un ciclo si è chiuso, sembra l’opinione diffusa.

In politica non c’è nulla di eterno, lo sappiamo. E tuttavia i passaggi di ciclo vanno interpretati, non semplicemente evocati oppure negati.

Tra le molte possibili, propongo tre riflessioni sul punto.

La prima riguarda la consapevolezza di ciò che il Centro Sinistra Autonomista ha rappresentato. Pur nelle difficoltà di oggi, non dobbiamo disconoscere questa storia, poiché è stata frutto dell’impegno di tanti e costituisce un valore collettivo, che non è nella disponibilità dei soli partiti.

Essa si è innestata - come un nano sulle spalle di un gigante - nel solco delle grandi culture politiche e sociali della nostra Comunità Autonoma.

Negli anni Novanta - con la dissoluzione di alcuni grandi partiti storici, in primis la DC Trentina; con il variegato mondo della sinistra in radicale trasformazione e con il PATT all’epoca deragliato e addirittura in rotta con la SVP, partito fratello - attraverso il Centro Sinistra Autonomista ciascuna di queste culture ha ritrovato rilegittimazione, prospettiva e radicamento.

L’Autonomia ha ritrovato una sua “anima” politica ed una sua stabilità istituzionale.

Il Trentino ha scritto pagine fondamentali sul piano delle politiche di Governo, in molti casi anticipando di anni scelte e intuizioni nazionali, come è nel suo dna e collocandosi più vicino agli standard nord europei che a quelli italiani.

Il “sistema Trentino” si è consolidato attraverso una inedita alleanza tra politica, territori, volontariato, parti sociali, imprese private e cooperative, soggetti finanziari locali, mondo formativo e scientifico.

Da tutto ciò è nata quella “anomalia trentina” che per più di vent’anni ha rappresentato una credibile e vincente alternativa territoriale alla deriva dell’illusione berlusconiana di quell’epoca e - nella stagione già allora connotata da insorgente individualismo - ha tenuto assieme la comunità - anzi, le comunità delle città e delle valli trentine - in una visione condivisa di bene comune.

Con lo Stato si è costruito un sistema di intese finanziarie e di Norme di Attuazione che ci avvicinano all’Autonomia integrale e che hanno rafforzato la “personalità istituzionale” del Trentino.

Il rapporto con Bolzano ha subito una evoluzione qualitativa di straordinaria portata.

Non era facile superare i pregiudizi del Los von Trient e assieme la comoda pratica della reciproca indifferenza che li aveva sterilizzati ma non risolti. Su tali basi, anche la cooperazione con Innsbruck è stata riproposta e rilanciata in chiave europea.

Questo è stato il Centro Sinistra Autonomista e ne dobbiamo essere orgogliosi.

Ma i cicli politici e sociali cambiano, come insegna la storia. Inutile far finta di nulla.

Qui si innesta la seconda riflessione.

C’è una terza via tra arrocco difensivo, quasi disperato e dissoluzione all’insegna dell’abiura e del “liberi tutti”?

Certo che c’è. La nuova cifra del Centro Sinistra Autonomista oggi può e deve essere ricercata attorno al trinomio “democrazia comunitaria; solidarietà; Europa”.

In un mondo che tende pericolosamente alla post-democrazia, al cinismo individualista, al nuovo nazionalismo chiamato sovranismo ( e l’Italia del dopo 4 marzo è uno dei principali “portatori (non) sani” di questo virus), le culture politiche trentine che hanno animato in questi venti anni il Centro Sinistra Autonomista hanno il dovere e la possibilità di proporre, ben oltre i confini delle loro organizzazioni, un modello alternativo coerente con la Costituzione Materiale di queste nostre Terre tra i Monti.

Hanno il dovere e la possibilità di accompagnare la comunità nello sforzo di non omologarsi; di riscoprire il carisma dell’Autonomia come antidoto alla paura e alla solitudine; di anticipare una primavera della democrazia locale nell’incipiente inverno delle “democrature nazionaliste”.

È facile e in discesa tutto questo? Assolutamente no, anzi.

Inserisco qui la terza ed ultima riflessione. Per riuscirci dobbiamo compiere tutti una sorta di “riconversione”.

La posta in gioco vale molto più delle formule, delle sigle, delle stesse molte buone ragioni che potremmo accampare per la continuità (dei ruoli personali e di quelli collettivi).

Ma in una situazione come questa, di cosa dobbiamo avere paura ormai se non della nostra paura?

L’unica duplice via di futuro è da un lato quella di una rigenerazione radicale dei soggetti politici del Centro Sinistra Autonomista( facciamolo questo salto, con coraggio, generosità e coerenza rispetto al nostro definirci tutti “autonomisti e territoriali”: chi è già pronto lo formalizzi e chi ha bisogno di tempo lo annunci come obbiettivo) e dall’altro quella di un investimento non tattico su una nuova Alleanza.

Diamo priorità ai valori rispetto alle forme. Al futuro da costruire, rispetto ad un passato che va orgogliosamente rivendicato (perché non partiamo da zero) ma che non può diventare una gabbia che uccide il futuro.

Forse potremo incontrare così tante energie positive che oggi sono fuori dai perimetri dei partiti e che potranno portare il loro contributo ad una nuova stagione di “anomalia trentina”.

Senza nessuna abiura ma anche senza nessuna pretesa di mero “inglobamento”.

Servono però nuovi architetti e operai nel cantiere; un progetto chiaro; una guida che si ponga al servizio e abbia la fiducia di tutti.

Vecchi e nuovi partner di questa Alleanza, che dovrebbe essere qualcosa di diverso e di più di quella attuale, non qualcosa di meno, si ritrovino presto e provino, con sincerità e lealtà reciproca, a identificare - senza pregiudizi e senza pretese - il candidato Presidente più condiviso, credibile e competitivo possibile.

Tenendo conto, peraltro, che questa non è operazione che si possa giocare dentro campo esclusivo dei rapporti tra consiglieri provinciali e membri della Giunta.

Nomi autorevoli sono stati fatti; altri possono uscire dal confronto. Non è mai troppo tardi. Un punto di caduta positivo - che dia il senso del solco nel quale ci si mantiene ed anche il segnale essenziale di una innovazione - non può e non deve essere impossibile.

Sempre che i punti uno e due sopra ricordati non vengano considerati meno che niente rispetto alle tattiche di posizionamento, alla rassegnazione o alla pretesa di conferme “senza se e senza ma”.















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