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I profughi a messa, l’abbraccio dei fedeli

Nella chiesa di San Carlo si è presentato un gruppo di cristiano evangelici, ma anche cattolici provenienti dal Libano e dalla Nigeria in guerra


di Daniele Peretti


TRENTO. Commozione e felicità è quanto ha provato don Lino Zatelli, parroco di San Carlo in Clarina, quando ieri mattina è andato ad aprire la chiesa per la messa delle 10 e si è trovato di fronte un gruppo di fedeli in attesa di poter pregare: venivano tutti dalla Residenza Fersina ed erano alcuni di quelli di cui abbiamo raccontato la storia sul giornale di ieri. Cristiano Evangelici, ma anche cattolici provenienti dal Libano e dalla Nigeria che don Lino ha accolto con una felicità che ha poi trasmesso ai fedeli durante la messa.

Messa che è iniziata con un inusuale “Good morning” e “Bonjour” per mettere a proprio agio quei nuovi fedeli che non conoscono l'italiano, ma che don Lino ha fatto di tutto (riuscendoci) per far sentire “comodi”. La reazione dei fedeli? Sorrisi e strette di mano a fine della celebrazione e molti hanno lasciato i loro banchi per scambiarsi un segno di pace. Lo ha fatto anche don Lino, scendendo dall'altare per portarsi tra la gente. Una sorpresa di certo. Ma bisogna anche considerare come specialmente i nigeriani siano praticanti e come cerchino la preghiera in qualunque condizione, anche col rischio di essere uccisi.

«Mi ha colpito questo inaspettato arrivo – ha detto dal pulpito don Lino – perché coincide con un evento storico per la Chiesa cattolica. Ci sono voluti 962 anni perché dopo lo scisma del 1054, Papa Francesco ed il Patriarca Ortodosso Kirill si abbracciassero e qui, nel nostro piccolo, arrivano altri fratelli e sorelle che non conosciamo, solo per pregare e perfino in anticipo rispetto a tutti voi...».

Poi ne ha sottolineato la sofferenza, soffermandosi sul fatto che alcuni di loro sono in cammino da agosto per arrivare in Clarina: «Un cammino del tutto simile a quello dell'arameo errante, di Abramo e del popolo ebreo che hanno vissuto vicissitudini del tutto simili alle loro. Hanno camminato per chilometri, ma non si sono dimenticati di camminare la domenica verso il Signore. Loro sono l'esempio che dobbiamo seguire.» E se c'era ancora qualche perplessità, ha aggiunto: «Anch'io, se avessi a che fare con un tipo come Boko Haram, fuggirei. Non dobbiamo chiederci perché sono qui tra noi, ma aiutarli come abbiamo fatto per la famiglia adottata da tutta la comunità».

Non solo, perché alla fine della messa al banco dei profughi si è avvicinato anche un ragazzo congolese: «Vive qui in parrocchia con tutta la sua famiglia, gli abbiamo dato un appartamento e qualcosa tutti i mesi: ha alle spalle una storia terribile». Ma Don Lino ha avuto anche parole di elogio ricordando come quei ragazzi non siano rimasti a dormire o a bighellonare senza meta, ma siano venuti in chiesa a pregare. Per il sacerdote, che dopo il loro arrivo ha attualizzato la celebrazione, quei ragazzi sono diventati un esempio per tutta la comunità che sulla puntualità alle celebrazioni, è stata anche richiamata. Dal pulpito l'impegno, in collaborazione col Gruppo Giovani della parrocchia di San Carlo, di organizzare un momento comunitario, come una cena che dovrà essere un'occasione d'ascolto e di riflessione comune. Don Lino ha spalancato le porte di San Carlo, adesso tocca alla comunità dei fedeli fare altrettanto.













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