I detenuti recitano Bukowski riflettendo sull’arte e la libertà 

Debutto riuscito per gli attori dilettanti, ma Emilio Frattini denuncia: «Ostilità e scarsa disponibilità dalle guardie»


di Sandra Mattei


TRENTO. Lo spettacolo è finito con ovazioni e fischi da stadio. Ieri nel carcere di Spini si sono esibiti dieci detenuti, quattro attrici ed i musicisti che hanno lavorato più di due mesi per mettere in scena “A nord di nessun sud”. Uno spettacolo denso di significati, che ha sovrapposto dubbi amletici e provocazioni alla Bukowski e che è entrato nelle corde dei detenuti. Quest’ultimi hanno espresso capacità espressive e presenza scenica inaspettate. Tutto bene, allora? Non proprio. Perché ieri, alla fine dello spettacolo il regista Emilio Frattini è intervenuto in modo molto polemico. Frattini ha aspettato che uscisse il pubblico dei detenuti, ed in platea rimassero gli ospiti (tra i quali il sindaco Alessandro Andreatta, l’assessore alla cultura Andrea Robol) per denunciare il clima di ostilità che ha vissuto: «In questi mesi abbiamo subito un atteggiamento ostile delle guardie carcerarie. Alcuni hanno esercitato nei nostri confronti abusi di potere e comportamenti inadeguati. Nonostante fossero stati comunicati gli orari del nostro arrivo, i detenuti venivano consegnati con un’ora di ritardo. Non tutti si sono comportati così, ma il clima non è stato dei migliori».

Nella sala teatrale dove fino a pochi minuti prima c’era un clima festoso, è sceso il gelo. Con il comandante di polizia penitenziaria, Daniele Cutugno che ha tentato di interrompere il regista ed ha ribattuto: «Noi siamo sempre stati disponibili alle attività ricreative. Mi dispiace che le critiche siano venute fuori davanti alle autorità ed avrei preferito che venissero fatte a me. Io sono nel mio ufficio dalla mattina alla sera, bastava che Frattini venisse a parlarmi, mi sarei adoperato per risolvere i problemi: non è la prima volta che si prendono provvedimenti contro le guardie carcerarie. Invece si è voluto fare uno spettacolo nello spettacolo. Un peccato, perché così si fomentano i carcerati contro la polizia penitenziaria. Ascolterò la registrazione e mi riserverò di intervenire se riscontrerò gli estremi per una denuncia».

E non sono serviti gli interventi del sindaco Andreatta, dell’assessore Robol, della garante dei detenuti Antonia Menghini, per rasserenare il clima. Andreatta si è congratulato con i detenuti: «Vengo volentieri alle attività in carcere,- ha affermato - e apprezzo in modo particolare il linguaggio teatrale che usa le parole ed i gesti. Un lavoro che è servito a rieducare i detenuti, ma ha rieducato tutti noi perché, come si dice nello spettacolo, è l’arte che rende liberi». La garante dei diritti dei detenuti Menghini ha voluto stemperare la tensione: «Spero che ci siano altre occasioni come queste in futuro, nonostante le perplessità espresse. La parte con i detenuti mi è piaciuta moltissimo. È importante che la struttura carceraria si apra all’esterno e ci sia un confronto sereno». Ed Umberto Orsini, della Fondazione Caritro, come tutti gli altri intervenuti, ha ringraziato Frattini per i risultati: «Non ho distinto gli attori dai detenuti», ha ammesso, mentre Robol ha sottolineato il progetto ambizioso: «È stato un lavoro che ha messo al centro la centralità della persona e la speranza di cullare i propri sogni».

Ed in effetti lo spettacolo è riuscito, soprattutto nei passaggi dedicati a Bukowski, perché i testi dell’autore maledetto, che ha trascorso una vita ai margini, segnata dall’alcol, ha coinvolto i detenuti. I suoi aforismi sulla vita, caustici e poetici allo stesso tempo, hanno colpito nel segno. Una delle scene più apprezzate è stata quella dedicata alla professoressa d’inglese, miss Gravis, una fantasia sessuale per Bukowski. «Lei accavallava le gambe e per noi era il paradiso», è la citazione. Le attrici, per l’occasione, vestite con tubini neri, lasciavano scoprire le gambe, suscitando commenti compiaciuti: «Anche a noi piace la lezione di inglese». A questi momenti un po’ goliardici, si sono alternati altri più riflessivi: quando due attori in scena, uno con una gabbia in testa, dice di avere un uccello azzurro dentro il cuore «che vuole uscire, che vuole essere libero». Ed ancora: «Se la galera e le puttane sono l’università della vita, chiamatemi dottore».

Non manca la riflessione sull’arte: «È lo stile la risposta a tutto e lavorare con stile è ciò che io chiamo arte». E nel finale, una delle attrici ha attaccato dei biglietti addosso ai detenuti con frasi a mo’ di comandamenti, per ricordare di essere sincero, di non spendere per cose vistose, di assecondare se stessi. I detenuti allineati sul palco, la musica coinvolgente di sottofondo, hanno creato grande commozione.













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