sanità

Fuga dei pazienti, «buco» da 200 milioni

Tanto ha sborsato l’Azienda sanitaria in 15 anni per “pagare” le strutture fuori provincia: una “grana” per il nuovo direttore


di Matteo Ciangherotti


TRENTO. La fuga dei pazienti trentini che scelgono di farsi curare fuori Provincia ci costa quasi 18 milioni di euro l'anno, in 15 anni circa 200 milioni, quasi come il costo del Not. Una cifra notevole che pesa da decenni, e sempre di più, sulle casse della sanità trentina. Ora anche la politica sembra essersene accorta. Sarà forse per dare un “caloroso” benvenuto al nuovo direttore generale dell'Azienda sanitaria che i la Giunta provinciale nominerà dopo l'abbandono dell'ex Luciano Flor.

Il successore di Flor, emigrato sui lidi padovani, è stato scelto su una lista “finale” di sei nomi rimasti top secret (alla faccia della trasparenza). Il “benvenuto” al neo direttore generale arriva direttamente dall'assessore alla salute Luca Zeni che in un'interrogazione di quattro giorni fa (13 aprile), rispondendo al consigliere della Lega Nord Maurizio Fugatti sul saldo (negativo) tra mobilità attiva e passiva della sanità trentina, cita i dati provenienti dall'Apss. Numeri aggiornati al 2013 e che a partire dal 1999 “raccontano” il destino non certo roseo dei conti sanitari relativi al saldo tra la mobilità attiva (chi sceglie il Trentino come meta per curarsi) e passiva (i trentini che optano invece per strutture fuori Provincia).

Il saldo tra le prestazioni sanitarie erogate dal Servizio sanitario provinciale a favore di assistiti da altre Regioni (mobilità attiva) e quelle fruite, invece, da assistiti del Servizio sanitario provinciale presso strutture di altre Regioni (mobilità passiva) è negativo fin dal 1999. Ma ciò che più preoccupa è la crescita vertiginosa, anno dopo anno, di questo saldo. Si parte da una forbice passiva di circa 4 milioni e mezzo di euro nel 1999 per approdare ai quasi 18 milioni di euro “persi” nel 2013.

E se è vero, come scrive Zeni nell'interrogazione, che “il saldo della mobilità sanitaria interregionale, mediamente attestatosi a meno 16,7 milioni di euro negli ultimi 5 anni, rappresenta meno del 2% del bilancio complessivo dell'Azienda, in termini assoluti un importo non trascurabile ma in termini relativi una quota abbastanza marginale”, è vero anche che se la Provincia, negli ultimi quattro anni (dal 2012 al 2016), ha ridotto di circa 30 milioni di euro il finanziamento alla sanità e prevede solo per il 2017 e 2018 altri 30 milioni all'anno di diminuzione, allora recuperare parte di questo saldo negativo di quasi 18 milioni sarebbe, quanto meno, auspicabile.

Un'altra “patata bollente”, insieme alla riorganizzazione degli ospedali di valle e degli annessi punti nascita che si è scelto di salvare (si attende deroga ministeriale), nelle mani del nuovo direttore generale dell'Azienda sanitaria. Che, in ogni caso, se si troverà così fortemente ridotto il finanziamento provinciale poco potrà fare. Spiegata, in parte, la fuga improvvisa di Flor? Sarà, ma quel che è certo è che per ridurre la forbice tra mobilità attiva e passiva occorrerebbero, invece e proprio, degli investimenti.

A partire dal nuovo ospedale. Non certo quelli fatti finora. Perché se doveva essere la protonterapia a portare pazienti in Trentino da tutta Italia, il progetto è – almeno per ora – fallito. E anche l'entrata “supposta” nei Lea della terapia protonica a mala pena pareggerà i costi sostenuti. A pesare sui conti della mobilità sanitaria sono soprattutto i ricoveri fuori Provincia che riguardano in particolare tre zone del Trentino: Val di Fiemme, Primiero e Alta Valsugana. I residenti di Fiemme “costano” oltre due milioni e mezzo di euro (anno 2013) con mete preferite Veneto e Bolzano; il Primiero incide per 3 milioni e mezzo (direzione ospedale di Feltre), stessa cifra per i pazienti dell'Alta Valsugana (Bolzano e Veneto).













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