Dopo le regionali il Pd si spacca su Renzi

Dorigatti: «Bastonare la sinistra non paga. Cambiare rotta». Tonini: «Per la concordia Matteo ha rinunciato a rottamare»


di Chiara Bert


TRENTO. Il 5 a 2 delle elezioni regionali di domenica fotografa una vittoria per il Pd sul piano dei numeri ma sul piano politico - dalla Liguria persa alla sconfitta umiliante in Veneto, fino al testa a testa con il centrodestra nell’Umbria rossa - rappresenta uno stop all’avanzata del partito a trazione renziana. E il contraccolpo sugli equilibri interni ai Dem è evidente dai commenti del giorno dopo: che si dividono sul presidente del consiglio e segretario Matteo Renzi.

Il senatore di provata fede renziana Giorgio Tonini, membro della segreteria del partito, affida a Facebook la sua analisi: «Non c’è un solo capo di governo in Europa che non avrebbe firmato ad occhi chiusi un risultato come quello che ha ottenuto Renzi alle regionali. È riuscito a rafforzare la schiacciante supremazia dei democratici nei governi regionali, il centrosinistra ha ceduto una regione importante ma piccola come la Liguria ma ne ha conquistata una grande e popolosa come la Campania». Per Tonini i risultati in Liguria e Umbria, per non dire del Veneto, «dimostrano che il potere in Italia resta contendibile, che non c’è nessun uomo solo al comando né alcun rischio di partito unico». Poi attacca le «azioni suicide della sinistra ex Pd in Liguria», che si dimostrano «atti di infantile e narcisistico autolesionismo». Tanto più, incalza Tonini, se si considera che tutti i candidati governatori del Pd alle primarie del 2012 votarono per Bersani, erano uscenti o sono stati selezionati da primarie che il Pd nazionale non ha potuto o saputo influenzare. Renzi può essere criticato per aver preferito la concordia interna ad un nuovo ciclo di rottamazione che interessasse stavolta i livelli intermedi del partito. Ed ha pagato un prezzo in termini di consenso».

«Il Pd è un partito pieno di problemi e di difetti, ma anche e indubitabilmente un partito plurale, che senso può avere - si chiede Tonini - intraprendere avventure solitarie verso il radioso obiettivo dell’8% racimolato dal dream team Cofferati-Civati-Pastorino?». Per il senatore «occorre rilanciare il rinnovamento renziano di contenuti e persone in quelle che una volta si chiamavano regioni rosse e oggi sono diventate un po’ grigie» e, dati alla mano, «la partita vera per il governo del Paese resta tra Pd e centrodestra, come dimostra il risultato lusinghiero ma nullo per regioni conquistate del M5S».

Una lettura del voto che è agli antipodi di quella di Bruno Dorigatti, già segretario della Cgil trentina e oggi presidente del consiglio provinciale. Che parla apertamente di «mezza sconfitta» alle regionali e al premier-segretario non risparmia bordate: «Renzi ha continuato a bastonare la sinistra e a spostare pericolosamente il Pd a destra, questo ci ha fatto perdere pezzi del nostro elettorato che sono andati verso il Movimento 5 Stelle. Lo dico da umile militante, è necessaria una battaglia, io dico dentro il Pd, per cambiare rotta. Basta lodare Marchionne e abolire l’articolo 18, il Pd deve recuperare al più presto un rapporto con i sindacati, con la Cgil, con i lavoratori, con chi sta peggio. Renzi ha bastonato una generazione, la mia, e ha ridotto i diritti dei lavoratori». Per Dorigatti «il Pd non può essere un autobus in cui imbarchi tutti, com’è accaduto in Liguria. Così si stravolge l’identità di un partito». E la conquista dell’elettorato moderato, quello che poi serve per vincere le elezioni? Dorigatti incalza Renzi: «I moderati vanno conquistati con una proposta più avanzata: in Germania i lavoratori siedono nei cda delle aziende. L’asticella va alzata, non abbassata». Per il presidente del consiglio provinciale significa puntare su crescita e lavoro, e aprire a proposte come il reddito di cittadinanza 5 Stelle.

Ma dal Movimento 5 Stelle ieri è arrivato subito uno stop a ipotesi di alleanze nelle Regioni. Il deputato trentino Riccardo Fraccaro rivendica il successo dei grillini, tradizionalmente penalizzati alle regionali. In un’intervista a IntelligoNews rilanciata sul suo profilo Twitter, Fraccaro ricorda: «Abbiamo preso tanti voti spendendo in ogni regione meno di 10 mila euro, quanto prende un parlamentare degli altri partiti in un solo mese. Abbiamo puntato su persone nuove, scelte dalla base, che non avevano fatto né un percorso mediatico né politico». Quanto al ruolo defilato di Grillo in campagna elettorale che sembra aver giovato nelle urne, il deputato osserva che «mentre gli altri partiti stanno accentrando sempre di più il potere e anche l’offerta politica, noi lo stiamo distribuendo». Poi chiude all’offerta del neogovernatore Emiliano in Puglia, l’assessorato all’ambiente alla candidata del M5S: «Questa offerta mi ha rattristato. Abbiamo sempre detto che sono i contenuti quelli che contano per noi, Emiliano invece mette sul tavolo una poltrona, vuol dire che non ha capito nulla».













Scuola & Ricerca

In primo piano