«Donna e giocatrice, la mia battaglia»

Maria ha perso 50 mila euro alle slot. «Più difficile per noi trovare la forza di chiedere aiuto. Ma è l’unico modo per uscirne»


di Luca Marognoli


TRENTO. Liberarsi dalla schiavitù del gioco è più difficile se si è una donna. Lo conferma l’esperienza dell’associazione Ama Auto Mutuo Aiuto (articolo sotto), secondo cui se tra i dipendenti la percentuale femminile è del 40%, si riduce a meno del 10% tra coloro che chiedono aiuto ai servizi. Colpa dello stigma sociale, che considera il gioco un vizio invece di una malattia, ma anche del fatto che la donna spesso si trovi a combattere da sola. Non è questo il caso di Maria (nome di fantasia), una signora di 66 anni, pensionata da 6, che sta tentando faticosamente di uscirne grazie ai due figli. «Ma per una donna, che è abituata a gestire la famiglia - conferma - è più dura».

Signora Maria, come si è avvicinata al gioco?

Io sono nata giocatrice, ma in senso buono: a 15 anni andavo a mettere la schedina. Mi è sempre piaciuto ogni tipo di gioco, a carte tra amici per il caffè, o la Tris in compagnia: giocavamo 6 mila lire. Ma anche il Lotto, elaborando sistemi per 5 mila lire. Otto anni fa ho iniziato con le macchinette, anche lì in compagnia: si mettevano 2 euro, 3 euro, poi “dai facciamo 5 euro per ciascuno”. É cominciata così. E il gioco, invece che essere momento di incontro, mi ha isolata. Mi dava fastidio avere qualcuno dietro a guardare: è diventata una cosa morbosa, legata a quelle luci scintillanti. C'è anche la competizione: credevo di poter fare meglio, andavo a casa, me ne dicevo di tutti i colori e il giorno dopo ero lì a pensare a come recuperare i soldi: 50, 100 euro...

Chi l’ha aiutata?

Un giorno per fortuna mi sono confidata con le colleghe. Mi dicevano: “Ma hai giocato anche oggi Maria, no dai, qualcuno ti può aiutare...” Sono andata da una psicologa giovane ma esperta, la dottoressa Serena Valorzi che ha uffici a Trento e Cles. Devo ringraziarla: per 3 anni non ho giocato a niente, neppure al vaso della fortuna; anche quando andavo a vedere la Juventus in pullman, davo i miei 5 euro per la lotteria ma non volevo i numeri. Poi però stai meglio e ti senti forte: così ricadi.

Come è successo?

Inizi a giocare a carte o a bocce, ti trovi con 50 euro e li spendi. “Non mi vede nessuno, non lo dico a nessuno”, pensi. Ma le ricadute sono micidiali: perdi di più, fai disastri. Ne ho avute diverse di brutte negli ultimi due anni. Finché, d'accordo con i figli, con i quali avevo anche litigato forte per il gioco, ho iniziato ad andare all'Ama. É successo un anno fa, ma non sono riuscita a staccarmi dal gioco. Poi, su consiglio degli esperti, mi sono rivolta al Serd di Trento. Ci vado da un mese e mezzo e mi sono trovata veramente bene: le spese sono sostenute dall'Azienda sanitaria e ci sono lo psicologo, lo psichiatra, l'assistente sociale. L'ultima volta che ho giocato è stata a metà novembre: avevo speso la pensione in due giorni. Non sono ancora serena, per la verità. Ma i soldi vanno sul conto di mio figlio: io gli chiedo quello che mi serve e lui me lo dà. Sono così contenta di andare in giro con 5 euro in tasca. Mi sento più tranquilla: al massimo mi prendo le sigarette.

Ci sono tante donne nel mondo del gioco?

Sì, ne ho trovate parecchie ai gruppi Ama e al Serd. Qualcuna giocava al Gratta e vinci ma la maggioranza con le macchiette. Nelle sale gioco non ne vedevo tante, ma nei bar dei rioni e nei tabacchini sì. Io adesso cerco di andare dove non ce ne sono...

É difficile trovare posti non colonizzati dalle slot?

La maggioranza degli esercizi le ha, ma se ne trovano anche senza. Su indicazione della mia dottoressa, per parecchi mesi ho cambiato strada tornando dal lavoro, per non passare davanti a un luogo dove avevo perso molto. Devi mettere dei paletti.

Quando ha capito di essere diventata dipendente?

Dopo un paio d'anni, parlandone al lavoro. La dottoressa la prima volta mi ha detto: “Se ti consideri ammalata possiamo fare qualcosa, ma se pensi che smetti quando vuoi non otterremo niente”. Avevo delle crisi che mi mettevo a gridare: “Io voglio giocareee”. Era nella mia natura. Ma quell'istinto è passato.

Le donne fanno più fatica ad uscirne?

Penso di sì, perché si vergognano di più, avendo sempre avuto il compito di gestire la famiglia. Io mi sono separata che i bambini erano piccoli e la cosa più brutta oggi è dipendere dai figli: si rovesciano i ruoli. Però è l'unico modo: finché non parli con qualcuno non risolvi niente. Bisogna farsi aiutare, senza paura. Se non prendi coscienza che sei malata non smetti.

Quanto crede di avere perso nella sua “carriera” di giocatrice?

Quanto avrò buttato? Almeno 50 mila euro...

Dove prendeva i soldi?

Dalle finanziarie, ma avevo anche incassato la liquidazione... è stato un disastro. Inizialmente mi avevano dato dei soldi anche i figli, non pensando che li andassi a giocare. La cosa più brutta è che diventi bugiardo. Anche io che non lo ero mai stata. Per fortuna la famiglia mi ha aiutato e mi fa piacere che il “Trentino” abbia preso così a cuore questo fenomeno.

Quanto è contato l’aiuto di Ama?

Moltissimo: ho trovato in Paolo Dallago, l’operatore del gruppo, una persona eccezionale, non ti giudica mai e questo è molto importante. E poi ci si trova tutti nella stessa situazione e si cerca di aiutarsi a vicenda. Stasera vado al gruppo e sono contenta. In estate abbiamo fatto una braciolata in baita nel Primiero e sotto Natale siamo andati a mangiare la pizza assieme. Si fanno delle amicizie: la sofferenza unisce.

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