l'editoriale

Don Lauro Tisi, la continuità è davvero rivoluzionaria

Il dialogo è stato la sua forza. Ed è ciò che lo ha portato dalle sue amate montagne fino in Piazza Fiera


di Alberto Faustini


Rivoluzionaria continuità. È in un ossimoro ciò che è successo ieri alla (e nella) Chiesa trentina. È cambiato tutto. Ma il nuovo pastore da tempo camminava accanto al suo predecessore.

Un vicario anomalo, però. Perché se monsignor Bressan era (e sempre sarà) la diplomazia, il suo successore era (e sempre sarà) la schiettezza. Abituato al fioretto il primo, il secondo ha sempre usato la sciabola. Insieme, sapevano parlare ad un gregge che qui è forse meno smarrito che altrove, ma che da tempo aspettava un nome dal quale ripartire: perché la Chiesa non ricomincia; riparte. Si evolve. Non si ribalta, si riaggiorna. Non si stacca dalle radici, ne pianta di nuove accanto alle vecchie.

Don Lauro è giovane: perché a 53 anni nella Chiesa si è dei ragazzini. Ed è forte: perché basta vederlo per capire che la sua energia è dentro ogni sua azione. È amato dai tanti parrocchiani che si sono abituati a vederlo arrivare all’improvviso: per una predica, per un incontro, per una lezione, per un percorso fatto di parole, ma anche di calore, di gesti, di sguardi. Ad annunciarlo, l’immancabile ritardo, l’immancabile utilitaria consumata dall’impazienza del suo pilota, quell’aria stralunata che si faceva (e si fa) sempre contagiosa nel momento in cui inizia a parlare. Perché don Lauro sa parlare. Ma anche ascoltare.

Il dialogo è il sentiero che l’ha portato dalle sue amate montagne rendenesi fino a piazza Fiera. Compagno di giochi (di scelte, di ideali) di don Ivan Maffeis - del quale è sin troppo facile immaginare un ruolo determinante in questa scelta, che è unica e anche coraggiosa per diverse ragioni - ha sempre amato il «profumo della stalla», per dirla con Papa Francesco. Alle cattedre e alle cattedrali ha infatti puntualmente preferito gli oratori. Ai fronzoli, la sostanza.

Alle prediche, i consigli. Ai pistolotti in “religionese”, la sincerità di paese. Ai riti, le reti: di persone, di idee, di suggestioni.

Capace di coltivare il dubbio e di porre e di condividere domande ancor prima di trovare e dare risposte, monsignor Tisi ha iniziato con l’arcivescovo Bressan un lavoro non facile. Un lavoro che per diverse ragioni ora dovrà portare a termine da solo. Con energie all’altezza di questo tempo irrequieto e di questa comunità alla perenne ricerca di certezze da rimettere continuamente in discussione. Il lavoro è semplice a dirsi e complicato a farsi: dovrà portare la Chiesa fra la gente, visto che la gente tende a non andare più in Chiesa. Dovrà fare della Chiesa non un luogo fisico sempre uguale a sé stesso, con pulpiti, predicanti e discepoli, ma un presidio di confronto orizzontale, aperto e permanente. Nel pianeta delle regole, dovrà giocare senza schemi. Facendo dell’accoglienza, intesa in senso molto ampio, anche rispetto a tutte le “diversità” che tali poi non sono, l’avanguardia del suo comportamento, del suo insegnamento.

Le accelerazioni di Francesco impongono alla Chiesa di non sgretolarsi nel tentativo di stare al passo del pontefice. Si tratta di non perdere la vecchia via - i cui valori profondi vanno invece solo riaggiornati - intraprendendo al contempo altri percorsi. Conciliando modernità, nuove tecnologie, nuove forme di comunicazione, nuove forme di incontro e anche, se necessario, di scontro. Mettendo insieme profumo di stalla, condivisione e ascolto. Un’altra via, in fondo, non c’è. In particolare in questa terra, dove la Chiesa è da sempre locale e insieme universale. Una Chiesa che deve tenere per mano il vicino di casa che non riesce a stare al passo e che ha bisogno di più di un aiuto, ma anche una Chiesa che necessita di uno sguardo largo e profondo, povero e bello, solidale e ancorato all’etica del giorno per giorno.

Il compito di don Lauro Tisi non è poi così diverso da quello di Papa Fancesco. È fatto di simboli e di azioni, di esempi e di concretezza, di velocità e di intraprendenza. Perché il tempo non aspetta. È perché per troppo tempo i cattolici sono stati tirati come un elastico dalla politica, dalla società, dalla precarietà, perdendo punti di riferimento, voci autorevoli, radici, approdi, anche certezze.

Dal nuovo capo dell’Arcidiocesi di Trento ci si aspetta originalità, personalità, umiltà e un’aria nuova e fresca.

Ma, prima di ogni altra cosa, don Lauro dovrà saper aprire la porta della sua Chiesa: per parlare a chi crede e a chi non crede, a chi ha una cultura e un credo profondamente diversi e a chi non sa più in cosa credere.













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