Dentro le case fantasma di Pinè«Due metri di fango nel salotto»

Pinè, l'angoscia degli sfollati rimasti sulla strada. E il divano finisce nel prato


Luca Marognoli


BASELGA DI PINE' . Un metro e 70 centimetri. Dove c’era il fango è rimasta una striscia che passa dritta a metà del muro, attraversando un quadro ancora appeso nella stube di Ferruccio Giovannini, presidente dei cacciatori di Baselga. In fondo alla scalinata che porta al piano di sopra si affonda fino alla caviglia nella melma. Un volontario spala, chino sulla vanga. A Campolongo il fango si è portato via alberi, tettoie, automobili. Un panorama che, in certi punti, ricorda la desolazione di Stava, una parola che tutti pronunciano sottovoce, con rispetto misto ad angoscia. Ma le case qui sono rimaste in piedi e nessuno si è fatto male
Poteva andare peggio, molto peggio. Per questo forse nessuno si azzarda a lamentarsi, anche se 44 persone sono finite in pigiama sulle camionette dei vigili in piena notte. Le case sono vuote, abitate solo dalle tute nere e gialle dei pompieri. E c'è chi il divano ora ce l'ha nel prato.
Ferruccio Giovannini è fratello di Giancarlo, il consigliere comunale che morì in un tragico incidente di caccia in Istria, nel dicembre di due anni fa. Una passione di famiglia: in fondo alla stube invasa dal fango troneggiano alcune teste di cervo impagliate. «Quando è successo eravamo sul poggiolo all'ingresso di casa a guardare il fiume d'acqua che veniva giù, portando terra e balotti. Saranno state le due di notte. Io ho detto: c'è il muretto, qui l'acqua non entra». Le ultime parole famose: «Ho sentito come un colpo di vento, ma non si muoveva niente...». Era l'"onda" che in pochi istanti (10-15 metri al secondo, secondo l'ingegner Sandro Broseghini, funzionario tecnico del Comune) ha travolto tutto quello che ha trovato sul suo percorso. «I pompieri, che avevo chiamato io, erano appena saliti con l'escavatore. Subito dopo si è mosso tutto», dice Giovannini. Dal retro il fango è entrato nelle stanze e nel bagno: gli scuri di legno delle finestre però hanno retto ed è filtrato poco materiale. Salvo anche il soggiorno, con il parquet di legno, che dà sulla facciata a valle. «Io, mia moglie Rosella e le mie figlie Tatiana e Monia, siamo rimasti lì, sul poggiolo: ci hanno recuperato dopo», continua Ferruccio, detto Ferro. «Ora è mia suocera che ci ospita dall'altra parte del paese». Fa cenno con il braccio. «Eccole là le mie figlie: ci guardano dall'abbaino». Nel cortiletto, accanto al grosso camion che "aspira" la melma, giacciono una bici e uno scooter, incrostati da due dita di fango secco. «Le due auto erano nel garage: una sott'acqua, l'altra, la Polo, galleggiava...».
Stamattina c'è il sole a Campolongo, un sole caldo che autorizza anche qualche sorriso. Come quello di Fabrizia Fedrizzi, uno dei volontari «rosa» impegnate nelle operazioni. «Non sono l'unica: ne ho viste altre due», dice mentre tira il fiato appoggiata a una staccionata. «Sono qui dalle 6 e mezza, con i colleghi di Lona-Lases. Abbiamo aspirato la melma dal garage e, con il carrello boschivo, portato l'acqua per ripulire i muri esterni».
Giovannini ci fa strada nel suo «ex» giardino: «Vede qui? C'erano tre betulle grosse, la cuccia del cane e la casetta della bambina. Tutto sparito». Solo fango. Poco sopra, manovra la sua ruspa Fulvio Micheli, di Miola. «Ho una cava a San Mauro e mi sono offerto di dare una mano, assieme a mio figlio Luca. Si lavora 10-12 ore al giorno per caricare il materiale di scarto. Avremo fatto 150 camion. Ogni tanto noi cavatori diamo fastidio, ma abbiamo dimostrato di essere utili. Ma tutta la gente del posto va ammirata: è questa la vera protezione civile». I detriti finiscono tutti in un grosso buco scavato nei pressi dello Chalet de la Mot, disboscando un terreno in località Ferrari.
La fatica si fa sentire. La faccia di Mario Giovannini è tirata: «Sono qui da domenica mattina alle 5 e ho dormito 6 ore a notte», dice. «Mi ha chiamato mia sorella, perché qui vicino abitano i miei, che per fortuna non sono stati coinvolti. Ma poi sono rimasto a fare il volontario».
In fondo alla discesa, a fianco della strada che porta giù al maneggio, c'è la villetta di Rosella Andreatti. Il piano terra è stato completamente invaso dai detriti e pezzi di mobilio sono accatastati nell'erba, vicino al campo di fragole: il divano, una cyclette, due materassi con la rete, sedie, una bombola del gas. Il soggiorno si è trasferito en plein air, ma tutto è ancora fradicio e sporco. «Pioveva forte e facevo fatica a prendere sonno», racconta Rosella. «Non crollerà mica la diga, ho pensato. Poi ho sentito un rumore assordante: bo-bo-bo... Sono andato a chiamare mio figlio: Federico, viene giù la montagna! La nonna dorme da basso, con mia figlia. Quando siamo scesi per recuperarla, la porta d'entrata è come esplosa dall'alto ed è venuto dentro di tutto: acqua e sassi. Non si riusciva ad entrare per il fango e siamo stati costretti a lasciarla lì. I vigili l'hanno trovata sull’armadio rovesciato che pregava, poveretta. L’hanno portata fuori usando uno scuro come barella». Il piano terra è stato completamente allagato e i danni sono tanti. Ma Rosella pensa positivo: «Vedendo quello che è successo, sembra impossibile che nessuno sia morto. Le cose si cambiano, la vita è una».
Gli sfollati non smettono mai di ringraziare i volontari. Dal poggio sul fronte opposto del paese, contiamo 16 ruspe in movimento, mentre i vigili del fuoco dichiarano che oggi i camion impiegati sono stati 31. Poi ci sono i Nuvola della Valsugana, guidati da Giorgio Paternolli, che hanno servito 300 pasti sotto il tendone e ne hanno portati 50 «sul campo» ai camionisti.
L’assessore Pacher ha dichiarato lo stato di emergenza in 7 Comuni: Bedollo, Baselga, Fierozzo, Segonzano, S.Orsola, Palù del Fersina e Frassilongo. Una cosa però ha scatenato la furia delle famiglie evacuate: l’annuncio che la Provincia rimborserà i danni solo per il 50%, ai non residenti addirittura per il 20%. Un brutto colpo, dopo essere finiti sulla strada.

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