Da Gilli a Zecchini: ecco i “giganti” ledrensi 

Personaggi “mitici”. Nel 1700 il “Popo di Bezzecca” era l’attrazione  di una compagnia di girovaghi che viaggiava in tutta Europa: era alto  2 metri e 60 centimetri. È dello stesso periodo anche Martino Ribaga  Oggi eccezionale è Maria Zecchini, infermiera volontaria in Togo


Alberto Folgheraiter


Trento. Il menestrello se ne stava sul lato orientale della piazza Glówny, la piazza del Mercato, accanto alla basilica gotica di santa Maria, a Cracovia. Nella sera di un’estate senza Covid, i viaggiatori assaporavano la quiete accompagnata dalle note struggenti che scaturivano dalla chitarra di un bel ragazzo coi capelli raccolti a coda di cavallo. Una pariglia di cavalli trascinava una carrozza di turisti affaticati. Dopo una giornata fra gli orrori di Auschwitz, settanta chilometri da qui, con un milione di uomini e donne assassinati dai nazisti, il contrasto era ancora più intenso. Tre secoli prima, in questa piazza ai confini settentrionali dell’impero d’Austria, aveva sostato un gigante della Val di Ledro. Gigante nel senso etimologico del termine, poiché misurava otto piedi e due pollici di Vienna, vale a dire circa 2 metri e 60 centimetri. Bernardo Gilli era l’attrazione di una compagnia di girovaghi. Una figura straordinaria, non solo per le dimensioni del corpo, le cui vicende furono narrate da vari autori. Buon ultimo Danilo Mussi, da qualche settimana nuovo presidente del Centro studi Judicaria di Tione. Questi scriveva (1997) che “la statura del gigante si aggirava tra i 2,54 ed i 2,70 m, con una maggior propensione verso i 2,60 m, un’altezza davvero straordinaria”.

A Natale si festeggia il Gigante

Probabilmente i lettori più giovani non hanno mai sentito parlare del “Popo di Bezzecca” o se lo rammentano è solo perché da qualche anno, in val di Ledro, è allestito il villaggio di Natale del Gigante. Bernardo Gilli, era nato il 1° novembre 1726, ultimo di quattro figli. L’unico con proporzioni smisurate, benché già il nonno avesse fatto parlare di sé per una statura fuori del consueto. Nel 1740 arrivò in val di Ledro, per la cresima, il principe vescovo Antonio Maria dei conti Thun il quale restò sbalordito. Si trovò davanti un “ragazzino” di 14 anni che misurava già un metro e 80 centimetri. Restò ulteriormente sorpreso quando, interrogato, il ragazzo rispose a tono e il vescovo lo trovò “ben istruito”. Oltre al catechismo e la storia, sapeva leggere, scrivere e far di conto. Il curato di Bezzecca testimonierà anni dopo che Bernardo, detto anche “il Popo”, “fino a 20 anni si occupò qui nei lavori di montagna (fieno a Vies e Croina), si caricava le altrui slitte (trose) pel compenso di un po’ di pane di segala”. Andava a caccia di lupi e di orsi, pratica diffusa fra i montanari. Verso la metà del XVIII secolo, Giambattista Perghem, un equilibrista e giocoliere di Nomi, di ritorno da un viaggio in varie città d’Europa seppe del gigantesco “Popo di Bezzecca” e lo cercò.

In giro per tutta Europa

Il Perghem (1715-1793), chiamato “Carattà”, aveva lasciato il convento dov’era frate tra i Trappisti per legarsi a una compagnia di saltimbanchi. In val di Ledro siglò un sodalizio con Bernardo Gilli. Qualche mese di apprendistato in casa Perghem, a Nomi, poi la coppia partì alla volta delle principali città d’Europa. I due girovaghi tenevano spettacolo sotto un tendone. Non prima di aver suscitato la curiosità della piazza con la promessa di una visione strabiliante: un gigante come mai s’era veduto sulla terra. Decantate le lodi e le virtù dello straordinario personaggio, che restava nascosto da una tenda, il “Carattà” chiamava Bernardo Gilli il quale usciva allo scoperto tra moti di meraviglia, hurrà e applausi del pubblico pagante. Di solito accorrevano in molti per vederlo spaccare un sasso con un pugno a mano nuda; tenere in equilibrio il proprio bastone e portare un uomo sul palmo della mano. A ogni spettacolo la cassa si riempiva di moneta sonante cosicché il “Carattà” e il “Popo” divennero celebri e ricchi. Il primo sposò una francese e tornò al suo villaggio per godersi una serena vecchiaia. Fino alla Grande guerra, nel cimitero di Nomi c’era una lapide con iscrizione latina che diceva: “Qui giace Giovanni Battista Perghem, celebre nei giuochi di equilibrio, il quale diversi di tali giuochi inventò lui stesso, molti ne perfezionò. Viaggiò quasi tutta l’Europa facendosi ammirare da tutto il mondo e mettendo insieme ingenti ricchezze. Morì nel Signore di anni 78”. Bernardo Gilli continuò a girare per l’Europa, vestito da turco. Fu ricevuto persino a corte dal re di Francia, Luigi XV, e dalla zarina di Russia Caterina II. Nella sua valle aveva nominato un procuratore al quale aveva dato incarico di amministrare i propri beni. Con il denaro guadagnato cominciò ad acquistare prati e boschi, fabbricati e campi. Pagava i debiti della povera gente, prestava cospicue somme a vantaggio della popolazione. Consentì, per esempio, l’acquisto del sale per ogni fuoco della sua comunità. Distribuì denaro in soccorso delle famiglie di Lenzumo colpite da una grandinata (23 luglio 1766) che aveva devastato i raccolti.

Il testamento e l’eredità

Fece testamento per ben tre volte, disponendo la distribuzione dei propri beni ai familiari più stretti, a chiese e conventi. Nel testamento, dettato il 15 settembre 1789, dopo aver annullato i due precedenti, dispose: “Che li miei sudetti eredi siano padroni assoluti del mio corpo reso cadavere, ed in piena libertà, di modo che, finite le esequie, volendo, possino levare detto mio cadavere dal luogo sacro e da esso cadavere far lo scheletro per conservar memoria perpetua della mia grandezza straordinaria nella mia famiglia e casa”. Ordinò, inoltre, che fossero dette 500 messe di suffragio. Già in vita aveva provveduto a farne celebrare 220. Lasciò denari alla cattedrale di San Vigilio, a Trento, e “dieci libre d’oglio d’oliva” alla chiesa di S. Stefano a Bezzecca. Complessivamente, una massa ereditaria di 28 mila troni. Scriveva Danilo Mussi: “La paga media di un muratore, intorno al 1790, era di 2 troni al giorno, questo fa capire l’enorme fortuna accumulata dal Gigante”.

La salma oggetto di studio

Bernardo Gilli morì a 65 anni, il 27 marzo 1791, nella casa che si era fatto fabbricare a Bezzecca. Il suo cadavere, completamente disossato, fu interrato nel cimitero. Lo scheletro, bollito e ricomposto, finì nello studio del medico Benigno Canella, di Riva del Garda, il quale aveva chiesto all’Ordinariato vescovile “di poterlo conservare” come oggetto di studio. Il teschio di Bernardo Gilli fu infine donato nel 1872, assieme a una calza e altri indumenti del gigante, al museo civico di Rovereto. Qui fu collocato in una grande teca di vetro che andò in frantumi, assieme al teschio, colpita da un obice nel corso della Grande guerra.

Un altro gigante, 5 anni dopo

Cinque anni dopo la morte di Bernardo Gilli, a Tiarno di Sopra venne al mondo un altro “gigante”. Martino Ribaga non raggiunse la statura del suo più illustre convalligiano, appena 2 metri e 15 centimetri, ma era provvisto di una forza erculea. A otto anni tirava un carro di legna, di sassi o di letame che solo un cavallo era in grado di muovere. A vent’anni portava contemporaneamente tre some di grano, da 120 chili l’una. Era in grado, tramandano le cronache, di sollevare un asino con tutto il carro carico. Pure Martino Ribaga prese a girovagare con una compagnia di giocolieri. Fece fortuna ma non ebbe il tempo di godersi la vita. Fu trovato morto, a 25 anni, in un bagno, a Fontainebleau in Francia.

Una donna eccezionale

In Val di Ledro sono nati altri “grandi”. L’ultima, per restare ai nostri giorni, è una donna eccezionale che vive in Africa da più di mezzo secolo. Maria Zecchini, da Molina di Ledro, dove è nata l’8 febbraio 1937, fa l’infermiera volontaria a Lomé, in Togo. Continuerà a distribuire medicine e a curare piaghe finché le forze glielo consentiranno. Una “grande” donna. Un gigante, appunto. Testimone sul fronte della povertà e del bisogno in questo o tempo che pare aver messo in quarantena anche la generosità e l’altruismo.













Scuola & Ricerca

In primo piano