«Così gli Usa hanno perso la leadership»

L'analisi di Gianni Bonvicini: «Al Qaeda fermata dall'Islam moderato»


Sandra Mattei


TRENTO. Anche Gianni Bonvicini, come tutti, si ricorda perfettamente dov'era quando i quattro aerei dirottati dai terroristi colpirono al cuore i simboli degli Stati Uniti. Il vicepresidente dell'Istituto Affari internazionali, l'11 settembre del 2001, era nel suo ufficio a Trento, allora presidente dell'Itc (ora Fbk). «Ho scritto un fondo - afferma - quando è stata chiara la matrice terrorista». Ecco come commenta l'avvenimento, a distanza di dieci anni.

Il mondo è molto cambiato da allora: non ci sono più dittatori come Saddam, Bin Laden è morto. E' un mondo migliore?
No, è mondo diverso, ma non migliore. Le cose sarebbero sicuramente cambiate, ma hanno subìto senz'altro un'accelerazione con l'11 settembre. Non si è verificato però lo scenario che Bin Laden auspicava, quello di un grande califfato di natura integralista. Ed anche il terrorismo internazionale ha subito una battuta d'arresto: negli ultimi anni sono i conflitti a livello locale che generano piccoli gruppi terroristici. Le rivolte nel mondo arabo hanno preso una direzione laica, e l'integralismo ha subito così una battuta d'arresto.

Gli Stati Uniti, dopo il trauma dell'11 settembre, hanno dovuto affrontare una delle crisi economiche peggiori, dopo quella del '29. I due eventi sono collegati?
Un collegamento c'è, se non fosse perché gli Stati Uniti, dopo aver ingaggiato due guerre, in Iraq e in Afghanistan, senza vincerle completamente, hanno perso il ruolo di gendarme del mondo e di leadership. Oltre a quest'indebolimento strutturale, c'è stato quello dovuto alla crisi economica: alla base ci sono ragioni profonde, come la bolla speculativa e l'uso criminale della finanza, che hanno portato gli Usa a perdere il potere sia nei confronti dei Paesi emergenti come Cina e India, sia nei confronti dell'Europa.

Con l'attentato dell'11 settembre, in molti avevano prospettato uno scontro di civiltà permanente. Ora stiamo assistendo alle rivolte nel mondo arabo, con i manifestanti che chiedono più democrazia e diritti umani. Bernard-Henri Lévy parla di un'«antiguerra», che preserverà da ulteriori desideri punitivi dell'Occidente. Cosa ne pensa?
Lo scontro di civiltà non si è verificato ed in effetti durante le rivolte dei Paesi arabi non abbiamo visto bandiere degli Usa bruciate, semmai è successo in Egitto con quelle israeliane. Ripeto, la primavera araba (ma forse sarebbe meglio parlare anche di autunno, visto che i fenomeni sono tutt'altro che conclusi) non va nella logica integralista che prospettava Bin Laden. Sono fenomeni che hanno ragioni nazionali e la rivolta della Libia è diversa da quella della Tunisia e da quella dell'Egitto. Detto questo, non è che i venti di guerra non soffino più. Lo scontro tra Occidente e Oriente può esplodere in ogni momento nei conflitti locali.

Gli Stati Uniti però devono fare ancora i conti con le violazioni dei diritti umani seguite alla lotta al terrorismo e allo scandalo ancora irrisolto di Guantanamo.
Se colpiti nel proprio territorio, gli Stati Uniti hanno sempre reagito in modo violento e irrazionale. Basti pensare alla guerra senza ragione in Iraq ed a quella in Afghanistan, più comprensibile. Ora devono recuperare terreno sul fronte dei diritti umani. Purtroppo però l'elezione di Obama, che è pur stato un evento che ha dimostrato la grande vitalità e capacità di rinascita degli Usa nei momenti di crisi, non ha portato ai risultati sperati, perché non è mai stato accettato da un establishment riluttante a politiche troppo progressiste.

E l'Europa come si pone tra gli Stati Uniti e il mondo arabo?
L'Europa è costretta ad esporsi di più, con il venir meno della leadership americana. L'intervento in Libia, però, ha dimostrato che l'integrazione europea è ancora debole visto che ci si è mossi in ordine sparso. Ed è mancato il ruolo della Germania, che si è rifiutata di partecipare alla risoluzione dell'Onu.













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