ASSOLUZIONE

Coltivava cannabis per curarsi: assolto

La sentenza del giudice Borrelli sancisce che l’uso terapeutico della sostanza non è reato



TRENTO. Il giudice Borrelli ha assolto perché il fatto non sussiste un quarantenne trentino, afflitto da dolori lancinanti e spasmi ad un arto, nella cui abitazione i carabinieri avevano trovato 23 piante di marijuana, una serra idroponica, con un sistema di illuminazione e irrigazione artificiali, e 140 grammi pronti all’uso. Un uso - aveva sempre dichiarato l’interessato - esclusivamente terapeutico.

I dolori patiti dall’uomo erano le conseguenze di un incidente stradale che aveva rappresentato per lui l’ingresso in un tunnel di sofferenza dal quale era riuscito a riemergere solo ricorrendo al potere antidolorifico della cannabis. I costi per i preparati a base di tale sostanza venduti fuori regione (fino ad agosto 2016 il servizio sanitario provinciale non forniva tali farmaci) erano però insostenibili per l'uomo, il quale aveva dunque optato per il fai da te.

Per l’uomo ai guai sanitari si erano aggiunti quelli legali, con la perquisizione domiciliare, avvenuta 2 giorni prima della delibera con cui l’Apss aveva introdotto la mutuabilità della cannabis terapeutica.

Ieri pomeriggio, 15 dicembre, l’ultimo atto del processo. La pm onoraria Chesini, in sostituzione della titolare Scagliarini, ha chiesto l’assoluzione per esistenza dello stato di necessità. Fabio Valcanover, legale dell’uomo, ha fatto riferimento alla cornice normativa di riferimento, dalla Costituzione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dai decreti ministeriali alle delibere della giunta provinciale e dell’Azienda sanitaria. «Si è trattato di un’assoluzione in ragione di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma», afferma all’uscita dall’aula. «C’era già stata una precedente assoluzione su un caso analogo, ma era stata impugnata dalla Procura e ora siamo in attesa di risposta alla richiesta di grazia. I motivi erano però diversi: in quella circostanza era stato riconosciuto – in primo grado - il diritto alla salute. Questa volta si è sancito che non c’è reato perché la coltivazione non è diversa dalla detenzione per uso personale».

 













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