Camorra, si indaga su tre trentini

La Dda di Venezia ipotizza per un professionista roveretano il reato di concorso in estorsione aggravata da metodi mafiosi


di Ubaldo Cordellini


TRENTO. Roberto Saviano ha lanciato l’allarme dal palco dell’auditorium Santa Chiara la settimana scorsa: la Camorra è entrata in Trentino. I segnali sono più di uno, a partire dall’operazione Aspide, l’inchiesta su una banda di usurai e strozzini vicini al clan dei Casalesi che prestava soldi a imprenditori veneti e trentini a tassi da capogiro, anche il 180 per cento all’anno. Il capo della banda, Mario Crisci, detto O dotto’, è stato condannato a 20 anni. Altri 25 anni sono stati inflitti due settimane fa a tre complici veneti della banda. L’inchiesta venne rivelata dal Trentino nel dicembre del 2010, quando raccolse la denuncia di un imprenditore caduto nella rete.

Adesso il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Venezia Roberto Terzo sta andando avanti sui complici trentini dell’organizzazione. Sono stati iscritti sul registro degli indagati per vari reati, dal concorso in estorsione aggravata dai metodi mafiosi alla truffa aggravata, tre trentini. Si tratta di un consulente finanziario roveretano, che era già stato indagato dal pubblico ministero di Rovereto Fabrizio De Angelis, di un albergatore della Vallagarina e di un piccolo imprenditore edile. In Trentino sono cadute nella rete di Aspide una decina di aziende. Il professionista sul quale indaga il pm della Dda di Venezia era a conoscenza della situazione patrimoniale delle aziende perché erano sue clienti e poi segnalava quelle in difficoltà alla Aspide. I casalesi, poi, iniziavano a tessere la loro ragnatela e conquistavano con una pipa di tabacco le aziende in debito di ossigeno.

Secondo le indagini, il consulente finanziario avrebbe avuto il ruolo di quinta colonna all'interno dell'economia trentina. Sempre stando all'accusa, lo ricordiamo per il momento siamo nella fase delle indagini preliminari, il professionista roveretano avrebbe segnalato alla società Aspide srl, che faceva capo a Mario Crisci, arrestato nel blitz di un mese fa, le imprese in difficoltà. La società vicina al clan camorristico dei casalesi poi faceva il resto. Inizialmente prestava soldi, poi, pretendeva interessi esorbitanti e, alla fine, si prendeva tutta l'azienda. Il ruolo del consulente era centrale. Segnalava a Crisci gli imprenditori a corto di liquidità, ma non solo. In alcuni casi, il professionista avrebbe anche studiato e suggerito architetture societarie che avrebbero permesso alla Aspide di portare a termine i suoi piani. Avrebbe organizzato una serie di affari sia nel roveretano che nella zona di Trento. In un caso, il professionista, avrebbe messo in contatto un proprio cliente con la Aspide srl. Il cliente, un albergatore della Vallagarina, gestiva un hotel e aveva un debito di 200 mila euro con un imprenditore con il proprietario dell'hotel. Il debito era per l’affitto dell’albergo. Invece di pagare, l’albergatore ha preferito cedere la sua società a Crisci. Emissari della Aspide, poi, hanno minacciato l'imprenditore titolare dell'albergo per farlo rinunciare al credito. Le minacce erano più che esplicite ed erano condite anche con l'esibizione di una pistola. Gli inquirenti devono approfondire il ruolo del professionista anche nella vicenda della «Il grattacielo srl». Si tratta di una società immobiliare di Rovereto che aveva una quota in un'altra società che gestisce palestre. La Aspide prima ha conquistato la società «Il grattacielo»; prestandole soldi a tassi usurari. Poi ha messo in atto un'estorsione con metodi mafiosi ai danni dei titolari della società che gestisce palestre. I casalesi pretendevano 200 mila euro per cedere la quota della società che era in pancia alla «Grattacielo». Ma i titolari delle palestre li hanno denunciati.

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