Cambia sesso all’anagrafe senza intervento chirurgico 

Il ricorso di una donna che non si percepisce tale e vuole un nome maschile accolto dal Tribunale, senza che vi sia un’istruttoria medico legale


di Sandra Mattei


TRENTO. Si avvicina la data del Dolomiti Pride, accompagnata da polemiche tra chi ritiene ormai un sacrosanto diritto manifestare il proprio orgoglio e la propria identità sessuale, quale che essa sia, e chi prova tuttora un disagio verso le diverse espressioni sessuali, non necessariamente codificate nel genere maschile e femminile. Ed a proposito di identità sessuale, arriva un’importante sentenza del Tribunale di Trento, risalente a poco più di un mese fa. Si tratta di un ricorso di una persona che ha chiesto di poter cambiare il sesso sul registro di stato civile, senza essersi sottoposto ad intervento chirurgico che ne cambi gli organi sessuali. Il ricorso riguarda una persona (la cui identità chiaramente non viene resa pubblica) che non si è riconosciuta nell’appartenenza alla dimensione femminile ed ha percepito fin dall’adolescenza di sentirsi uomo.

A sostenere il ricorso, lo studio dell’avvocato Vasco Chilovi che, affiancato dalla figlia Alessia, ha ottenuto che il proprio assistito potesse cambiare il genere sulla carta d’identità, senza essere sottoposto, appunto, alla verifica dell’avvenuta modifica dei caratteri sessuali anatomici, come recita la legge n. 164 del 14 aprile 1982. Le due sentenze della Corte di Cassazione della Corte costituzionale del 2015 (rispettivamente n. 15138 e n. 221) hanno riconosciuto, infatti, che per il cambio di sesso non fosse obbligatorio «l’intervento chirurgico demolitorio o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari» sulla base degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione e della Cedu (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali). Che cosa sanciscono questi articoli? Riconoscono il diritto di autoderminarsi in ordine all’identità di genere, essendo un elemento costitutivo del diritto all’identità personale. Spiega l’avvocato Vasco Chilovi: «Tradotto in altri termini, significa che il concetto di identità sessuale non si riferisce esclusivamente agli organi sessuali, ma anche ad elementi di carattere psicologico e per questo il Tribunale ha ritenuto che sia sufficiente per la rettifica del sesso all’anagrafe la documentazione medica che dimostri come l’individuo in questione abbia intrapreso un percorso sia a livello psicologico di costruzione di una propria identità sessuale, sia a livello ormonale, senza necessariamente essere sottoposto ad un’istruttoria di natura medico legale che per il ricorrente potrebbe essere invasiva e lesiva delle sua dignità».

La sentenza del Tribunale di Trento è a maggior ragione un passo in avanti perché in precedenti ricorsi, il Tribunale si era rimesso all’interpretazione della Corte costituzionale, per accertare la legittimità del giudizio contenuto nella sentenza del 2015, mentre in questo caso ha accolto la richiesta del ricorrente. «Questo comporta un’accelerazione della richiesta della persona - spiega Chilovi - che vuole cambiare sesso sulla propria carta d’identità, perché in casi precedenti si era dovuto aspettare il pronunciamento della Corte costituzionale, con tutto quello che ne consegue a livello di limitazione delle libertà personali. Faccio un esempio: una persona che ha già intrapreso un percorso perché si sente di un sesso diverso da quello dichiarato in anagrafe, nella vita di tutti i giorni deve subire situazioni imbarazzanti e lesive della sua vita privata, quando si trova a dover presentarsi in un albergo o in colloquio di lavoro, perché pur avendo un aspetto maschile o femminile, i suoi documenti riportano ancora il nome femminile o viceversa».

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