rovereto 

Aylan in mostra fa infuriare la destra

Fratelli d’Italia critica l’esposizione “Gli Spostati”: «Assurdo e irrispettoso paragonare i profughi trentini a quelli di oggi»



ROVERETO. Fa subito parlare di sé la mostra “Gli Spostati” appena inaugurata a palazzo Alberto Poja. Le critiche si sono concentrate sull’installazione che riproduce la salma di Aylan, il bambini siriano che ha trovato la morte sulla costa turca e che è diventato l’icona della tragedia dei profughi. In verità, le critiche provengono da una sola parte: dalla segreteria di Fratelli d’Italia, che stigmatizza così la scelta del Laboratorio di storia di Rovereto, che ha prodotti in proprio l’installazione:

«L'iniziativa - scrive il partito - vorrebbe rappresentare il "profugo di ieri" ed il "profugo di oggi", ma appare più che altro di cattivo gusto. Ancora una volta si utilizza l'emigrazione post bellica trentina per giustificare il perpetuarsi di chiacchiere su inclusione ed integrazione del richiedente asilo oggi in Trentino, paragone che non ha alcuna ragion d’essere se non l’assoluta mancanza di rispetto per la storia e le persone.

Per la storia in quando è assolutamente impossibile mettere sullo stesso piano lo sfollamento di famiglie trentine, per esempio, in Boemia con le orde di richiedenti asilo africani, la cui stragrande maggioranza non ha titolarità di vivere sul nostro territorio, che affollano gli hotel e centri ricettivi di tutta Italia. Manca il rispetto per le persone perché, pur di portare avanti la mielosa retorica dell’accoglienza, che si traduce sempre più spesso in abbandono e criminalità, si è pronti a strumentalizzare la morte di un bambino, Aylan, decesso la cui responsabilità è da ricercarsi unicamente nella criminale conduzione di vita di chi gli era attorno. Ma non importa: tutto fa brodo.

Ma ciò che deve ulteriormente colpire, in mezzo a memorie di vita e testimonianze dei nostri avi trentini, è che questa installazione è sostanzialmente un pupazzo. Un goffo, finto pupazzo, in una piccola sabbiera, che vorrebbe evocare la fine tragica e misera di un bambino che certo non merita di diventare mascotte o strumento di alcunché».

Diego Leoni, coordinatore della mostra, non ha voluto replicare, ma si è limitato ad osservare che «chi ci conosce e conosce il nostro modo di lavorare sa perfettamente qual’è la nostra sensibilità verso il passato e verso il presente. Il nostro è un estremo atto di pietà verso quel ragazzo che ha subito lo stesso trattamento toccato a molti bambini trentini, morti nel cammino verso un luogo che li accogliesse. C’è un filo di ricordo e di dolore che unisce due vicende lontane nel tempo».

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