Addio Erminio Boso «padre» della Lega 

Stroncato da un infarto: aveva 73 anni. Si definiva “soldato semplice” e popolano: famose le sue “sparate”, era divenuto sentinella del Carroccio


di Paolo Mantovan


SEGUE DALLA PRIMA PAGINA. Erminio Boso si definiva un “soldato semplice” della Lega. E si sentiva un uomo del popolo. «Essendo che io parlo come parla la gente, ci piaccio, capissitu?» si vantava. È morto l’altra sera a 73 anni. È stato un fondatore della Lega, quella del celodurismo, quella dell’indipendenza dai “terroni”, fedele al grande capo Bossi, al senatùr. Con le felpe di Salvini non si è mai sentito a suo agio, anche se della Lega di Matteo può considerarsi un anticipatore e forse anche uno zio. Lo zio “Obelix”: che proponeva «vagoni separati» per gli extracomunitari, che avrebbe voluto prendere anche le impronte dei piedi ai migranti «perché si bruciano i polpastrelli pur di non lasciare traccia». Obelix perché era un metro e novanta di statura per centotrenta chili («Sono nato che ero uno scricciolo, ma sono cresciuto prima grazie al latte delle grandi tette di mia mamma e poi con la polenta e le luganeghe che mi preparava lei») e perché era facile da disegnare anche per i vignettisti. Faceva parte, con Mario Borghezio e Giancarlo Gentilini, del «trio dei rozzi» della Lega, ma dei tre era certamente il più famoso, perché poi riusciva a dirle così grosse che “solo Boso”. Era lui il metro di paragone delle sparate. A «la Zanzara» aveva detto «sì sono razzista: la Kyenge deve tornare in Congo», ma al giornalista replicava: «Razzista io? Mai stato: sono andato con donne di ogni colore, anche con una nera».

Che poi Erminio Boso di Pieve Tesino («mi la ciamo la Valle dell’Eden»), uomo del popolo, pareva avere tanti amici ma in realtà selezionava tantissimo, e quando tornava da Roma al suo paese prima andava a trovare la sua amica Marisa, poi saliva alla sua baita, da mamma Liliana (era attaccatissimo: quando è morta, un paio d’anni fa, se n’è andata quasi tutta la giovialità di Boso), e salutava i suoi cani da caccia Dick, Buck e Bosco.

Cacciatore di frodo orgoglioso e convinto, figlio di un impiegato dell’Enel, da ragazzo sostenitore del Pptt («pruneriano, per la precision»), rimase folgorato dal «verde» della Lega di Bossi «perché il verde è prato e bosco, dà l’immagine della pulizia dallo sporco dei delinquenti e dagli scansafatiche». Non amava affatto Berlusconi, né chi gli ronzava attorno. E forse anche per questo la stazza da Obelix l’aveva usata tutta anche in parlamento, tanto che - era il novembre del 1995 - prese a calci nel sedere Vittorio Sgarbi in “Transatlantico”, compiancendosene: «La scarpa sporca di merda l’ho messa all’asta a Pontida». Oltre a parlare semplice e diretto, come “ci piace alla gente”, Boso usava parolacce e bestemmie come punti e virgole del discorso, ma si sentiva cattolicissimo. E d’altra parte da ragazzo era stato pure mandato in convento a Venezia a fare il novizio («Semmai frate, perché i preti non mi sono mai piaciuti»), anche se la vocazione vera la trovò sul posto di lavoro, proponendosi al sindacato di fabbrica: «Ma non chiamatemi sindacalista, perché io volevo difendere i diritti dei lavoratori mentre i sindacalisti volevano inculcare il comunismo, porco demonio».

A chi ricorda solo l’aspetto più folcloristico di Boso, occorre rammentare che Obelix era dotato anche di tanta pazienza e umiltà. Nei quattro anni in parlamento (eletto al Senato nel ’92 e nel ’94, poi bocciato nel ’96, poi consigliere provinciale per dieci anni, quindi tre anni parlamentare europeo) e viaggiando fra Roma, Trento, Bolzano e Strasburgo, Boso riuscì ad assorbire tanto. «La politica non è difficile, sai. Basta ascoltare. Io faccio così: cerco di capire chi ne capisce e sto ad ascoltare». Ecco perché a Roma ogni giorno prima delle 4 del mattino non andava mai a dormire «Bossi dà il meglio di sé dopo l’una di notte», ed ecco perché pur non sopportando i democristiani, osservava attentamente Giulio Andreotti. «Lui era un grande. Conosceva i problemi e le virtù degli italiani come le sue tasche: bastava capire che cosa diceva e come si muoveva, per comprendere tanto». Nella sua umiltà, Boso ha anche trovato un suo ruolo centrale. Non di condottiero ma di testimone, sentinella del leghismo. Così anche ora, dopo il successo di ottobre alle provinciali, ai giovani rampanti ha pensato bene di dare avvisi da grillo parlante: «Io dico che Mirko Bisesti deve fermarsi un momento, sedersi e riflettere». E anche a Salvini scriveva messaggini ogni giorno. Fino a quando, l’altra sera, il cuore ha ceduto. Il cuore che già lo preoccupava «Tasi, devo prendere una pillola tutti i giorni», diceva triste. Il cuore che, per le sue battaglie, lo ha sempre messo in gioco. Da soldato semplice del leghismo.













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