«A bordo pista andava messa una rete» 

Lo sostiene la Procura, che ha indagato un consigliere della società degli impianti. Inascoltati i solleciti della Forestale


di Luca Marognoli


TRENTO. C'è un indagato per la morte di Bruno Paoli, il poliziotto 48enne di Sant’Orsola spirato al Santa Chiara lunedì per le conseguenze della caduta con gli sci di sabato in Panarotta. Si tratta di un membro del Cda della società impiantistica difeso dall’avvocato Monica Baggia. L’ipotesi di reato è di omicidio colposo.

Ad aprire il fascicolo la pm Maria Colpani, che ha anche compiuto un sopralluogo nel punto dove si è verificato l’incidente, la pista di collegamento che porta dalla malga Montagna Granda all’arrivo della pista Rigolor. Secondo il magistrato ci sarebbero prove documentali che la Forestale avrebbe più volte invitato la Panarotta Srl a intervenire dopo un altro grave incidente avvenuto nello stesso punto nel 2011: in quell’occasione era rimasto coinvolto un sedicenne che aveva riportato diversi traumi; non c’erano state querele né procedimenti penali, ma la vittima aveva ricevuto un risarcimento dei danni. Nonostante i solleciti però (l’ultimo all’inizio di questa stagione), nessun intervento di messa in sicurezza sarebbe stato compiuto dalla società impiantistica, come dimostra il drammatico evento di sabato. Per la Procura sarebbe stato necessario posizionare una rete protettiva, che avrebbe certamente evitato la morte del poliziotto (ma sul posto non sarebbero presenti neanche segnali di pericolo).

Non solo: per la pm gli uffici preposti della Provincia, già in sede di omologazione della pista teatro dell’incidente (si parla degli anni 80), avrebbero dato prescrizioni specifiche per la messa in sicurezza di quella scarpata e di altre presenti nelle immediate vicinanze. Va sottolineato anche che quel passaggio è frequentato quotidianamente da molti piccoli sciatori, il che aggraverebbe le responsabilità - se suffragata da prove - degli addetti alla sicurezza della pista.

Bruno Paoli è finito in un dirupo sassoso caratterizzato da un dislivello di circa 8 metri, pericoloso anche per la presenza di un grosso tubo di cemento usato per convogliare le acque che scendono dalla montagna: il poliziotto ha però sbattuto contro un masso poco più a valle riportato un trauma cranico risultato fatale. Non indossava il casco, che però non è obbligatorio. A rendere più drammatica la circostanza, il fatto che assieme all’uomo vi fossero i due figli, il ragazzino di 13 anni più in alto e la bambina, di 9, avanti rispetto al luogo in cui si era fermato Paoli, che probabilmente stava a valle proprio a protezione dei figli da un eventuale scivolamento nel piccolo canalone. A tradirlo, forse, una distrazione, o uno sci messo in fallo proprio perché il poliziotto era concentrato nel garantire la sicurezza dei ragazzi, a lui affidati. Nei prossimi giorni la pm Colpani sentirà proprio il tredicenne, che ha già dimostrato una grande maturità il giorno dell’incidente, dando personalmente l’allarme al 112 con il cellulare.

La difesa dell’indagato punta ad accertare il ruolo effettivo svolto dall’uomo, che sembra avesse incarichi (non è noto se e fino a che punto formalizzati) di verifica della sicurezza delle piste, e se il punto teatro della tragedia sia classificato come pista o come strada forestale. Ieri è stata anche eseguita l’autopsia sul corpo del povero sciatore, per confermare il decesso per trauma cranico. Nel frattempo la pista resta sotto sequestro.













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