Lavoro a 119 donne vittime di violenza 

La Fondazione Famiglia Materna: «È il primo passo verso l’indipendenza, ecco come le aiutiamo grazie alle aziende»



ROVERETO. Quella delle donne vittime di violenze e maltrattamenti in famiglia è una realtà in gran parte sommersa, malgrado i tempi siano cambiati e l’esistenza di strutture specializzate. Una delle associazioni più attive in questo settore è la Famiglia Materna di via Saibanti, che assiste le donne nel momento più delicato, cioè l’inizio di una nuova vita dopo l’addio, spesso molto sofferto, al compagno o al marito violento. Non serve solo un’opera di ascolto, pure importante per le vittime, ma un aiuto concreto, un sostegno economico per poter affrontare con maggior serenità la nuova fase della vita, e un inserimento lavorativo che consente alle vittime di violenza di poter diventare indipendenti. Può sembrare una cifra fuori scala, ma nel solo anno scorso sono ben 119 le donne avviate a inserimento lavorativo attraverso la Famiglia Materna. «Abbiamo stretto una partnership con un centinaio di aziende della zona - spiegano i vertici dell’associazione, con il presidente Antonio Planchestainer e la direttrice Anna Michelini - che consentono di svolgere dei percorsi formativi pagati, in modo da permettere alle donne che si stanno riscattando dalle violenze subite di imparare un mestiere e di iniziare a mantenersi, a diventare autonome e indipendenti». È un sostegno importante perché fornisce il principale supporto alla vita delle persone che dopo aver subito violenza - non per forza fisica: spesso si concreta attraverso anni di insulti, di vessazioni e limitazioni, fino a deprimere la donna e farla sentire “inferiore”, uno stato dal quale è difficile risalire e condurre una vita normale - faticano a districarsi per diventare autonome. A ciò si accompagna anche un lavoro diretto agli uomini “maltrattanti”, cioè a quelli che per una serie di condizionamenti culturali si sono trasformati in aguzzini delle proprie compagne, spesso senza nemmeno rendersene conto. «Negli ultimi quattro anni,- spiega Anna Michelini - abbiamo avviato a un percorso rieducativo 104 uomini maltrattanti. Il percorso ha il nome di “Cambiamenti”, perché crediamo nel cambiamento delle persone, nella loro presa di coscienza degli errori commessi. L’uomo di solito si difende sostenendo che è colpa della donna, su cui riversa la responsabilità dei suoi maltrattamenti. Ed è stato una piacevole sorpresa constatare che molti uomini che avevano già svolto una parte del percorso spiegavano ai “nuovi”, ancora convinti delle proprie ragioni, il motivo per cui si sbagliano. Quello che temiamo è la recidiva, il fatto che un uomo possa ripetere lo stesso modello di sopraffazione con altre donne. Ma su 104 casi, è successo solo due volte».

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