«Se ne va un pezzo importante di Riva» 

Il ricordo di Cornelio Galas: «Ti immagino riposare sulle rive di un lago come quello che hai lasciato»



RIVA. Fra i tanti ricordi di Manlio Patuzzi c’è anche quello del giornalista Cornelio Galas: «Caro Manlio, questa volta non posso scrivere in dialetto. Perché dovrei scegliere quello rivano e, pur avendo vissuto e lavorato per anni a Riva, lo sai, avevo ed ho ancora imperdonabili inflessioni arcensi. Ma è proprio perché sono stato e resto un “ibrido” tu mi hai regalato una gran parte della tua inconfondibile rivanità. Ché un giorno, quando ancora eri al chiosco del Brolio, ricordo, te lo chiesi: “Cos'è questa benedetta rivanità della quale tu, Sergio Molinari, Giancarlo Angelini, Ippolito Bresciani, Riccardo Pinter, Carlo Modena e... tutti insomma, mi fate una testa quando parliamo della Busa?” Tu a quel punto ti eri nascosto dietro quel tic, quel modo di portare le dita alla bocca come per inumidire un francobollo. Il resto fu affidato ad una battuta: “O te la gh'è o no te la gh'è...”. Avevo insistito, quasi infastidito da quella sorta di (sia pur bonaria, ironica) presa di distanza. Di più: stavo per darti dell'arrogante, del becero campanilista, quando, con un sorriso luminoso, strizzandomi l'occhio... “Valà mona... zerto che l'è fazile torve per le bale voi de Arco”. Col tempo ho imparato a conoscere la tua grande ironia, il tuo ancora più grande impegno per Riva, le sue tradizioni, il suo ambiente, la sua cultura, la sua storia». «Caro Manlio, quando ho appreso della tua scomparsa, sono rimasto senza fiato - prosegue Galas - e ancora adesso devo fermarmi. Perché mi è impossibile pensarti morto. Non ce la faccio. Come ha scritto qualcuno, con te, se ne va un altro pezzo importante di Riva. E tanti sarebbero i ricordi che ho di te che vorrei esternare, per far capire chi sei stato a chi non ha avuto la fortuna di conoscerti. Forse un giorno, quando sarò meno emozionato, lo farò. Sperando di non disturbare quello che vorrei immaginare come un dolce riposo, sulle rive di un lago che tanto assomiglia a quello che hai lasciato».













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