Zani: «Questo criminale va fermato» 

Cavareno, il sindaco chiede più impegno agli inquirenti nelle indagini sui roghi che hanno distrutto le baite alla Mendola


di Giacomo Eccher


CAVARENO. «Non voglio polemizzare, ma è ora e tempo che chi di dovere faccia quello che deve fare, perché tre incendi con le stesse modalità e con tempistiche ben definite non possono restare impuniti. E per trovare il colpevole (o i colpevoli) non possiamo aspettare che ci scappi l’incidente grave o addirittura il morto!»

Così ieri il sindaco di Cavareno Gilberto Zani commentando a freddo l’episodio delittuoso (che lui bolla giustamente come “criminale”) che nella notte tra martedì e mercoledì ha mandato a fuoco sei casette di proprietà comunale, in quanto realizzate – spiega il primo cittadino – su terreno pubblico. «Alla fine chi voleva fare un danno ai privati ha finito per danneggiare, ed in modo pesante, il Comune di Cavareno e quindi la nostra comunità. Solo una mente malata o forse peggio una mente lucidamente criminale può arrivare a tanto» - insiste Zani.

Amarezza dunque e delusione i due sentimenti manifestati dal sindaco: amarezza per l’incomprensione che questi gesti dimostrano verso gli sforzi che la sua amministrazione ha fatto e sta facendo per chiudere dopo 40 anni la querelle delle baite abusive disseminate in prati e boschi della Mendola, e delusione per l’inconcludenza, finora, delle indagini che le forze dell’ordine hanno condotto finora.

«Non accuso nessuno ma mi permetto di chiedere impegno su questo fronte perché si rischia di dare adito a chi vorrebbe farsi giustizia da sé con metodi criminali. Se le leggi esistono, bisogna farle rispettare, altrimenti è la giungla» - afferma.

Il problema che sta dietro questo ennesimo episodio delittuoso che infiamma (è il caso di dirlo) la Mendola è come detto incancrenito in quarant’anni di cause, con la parola finale arrivata solo a fine 2016 con l’ultima delle ultime sentenze del Consiglio di Stato che ha sancito la “inoppugnabile proprietà comunale” delle 19 casette costruite abusivamente su terreno di uso civico e quindi ramaste fuori dalle varie sanatorie.

Tutto è partito nell’ormai lontano 1977 con la ricognizione e l’inventario, anche fotografico, deciso dal Comune delle baite insistenti sia su suoli privati, sia su quelli pubblici e realizzate prima del 1967, l’anno della cosiddetta “Legge ponte” che ha disciplinato i regolamenti edilizia comunali.

In zona i sottoservizi (acquedotto e fognatura) o non esistevano (fognatura) o erano da considerare decisamente molto contenuti e precari. Nei primi anni Ottanta del secolo scorso, in assenza di queste urbanizzazioni o alla presenza di alcune di esse in forma del tutto limitata e problematica, l’allora sindaco Gilberto Zani (lo stesso di oggi) iniziò a dar corso ad alcune demolizioni di casette insistenti su suolo pubblico, poi bloccate a seguito dei condoni edilizi decisi dal Governo nel 1985 e reiterati nel 1994, che hanno permesso a chi aveva costruito una casa sul proprio terreno in modo irregolare di sanarla/regolarizzarla. Nulla da fare invece per quelli che le avevano erette su suolo pubblico, non potendo invece accedere al condono.













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