L'intervista

Maura Dorigoni, una vita di lotta contro il diabete giovanile

L'associazione segue 250 famiglie in Trentino. La coordinatrice: "Rassicurare i genitori che il bambino può vivere una vita normale è un'iniezione di fiducia"


Daniele Peretti


TRENTO. Gli esordi del diabete giovanile sono costanti con una ventina di casi all’anno e in totale l’associazione Diabete Giovanile del Trentino (presidente il dottor Cesari) segue 250 famiglie distribuite in tutta la Provincia. Maura Dorigoni è la coordinatrice di tutte le attività sia di promozione come la raccolta fondi, l’organizzazione dei mercatini, ma anche convegni e campi estivi che sono il punto di forza dell’impegno di aggregazione dell’associazione. «L’origine si perde negli anni in quanto col tempo sono cambiati ruoli e responsabilità, ma anche metodi di cura. Comunque io e mio marito siamo subentrati all’ex presidente Paoli nel 1995».

Qual è la forza dell’associazione?

Quella di essere composta da genitori di bambini diabetici che sono riusciti a fare gruppo, condividere problemi e soluzioni che sono rimasti uniti e disponibili anche quando i bambini sono diventati uomini.

Quando parla di cambio di ruoli, sembra che si tratti di due epoche distinte.

Beh lo sono. Consideriamo che anni fa per il bimbo diabetico erano privazioni in serie, i controlli di verifica erano minimi. Oggi si può vivere una vita normale improntata su una dieta mediterranea; si possono mangiare torte e gelati, ovviamente senza esagerare, bilanciando gli zuccheri con una minore assunzione di carboidrati.

È finita l’era dei prodotti per diabetici?

Sì perché con una dieta sana e una vita consapevole si può condurre un’esistenza normale.

I 20 esordi annuali sono costanti o in aumento?

Costanti, ma in aumento sono i casi di bambini extracomunitari nordafricani e questo è un problema perché spesso i genitori o parlano male l’italiano, oppure lo parla solo il papà mentre il bimbo è seguito dalla mamma.

Avete intrapreso qualche iniziativa mirata?

Sì. Prima di tutto quando contattiamo la famiglia in ospedale, regaliamo un cofanetto con un manuale e altro materiale che abbiamo tradotto in lingua araba. Poi cerchiamo di allargare la collaborazione a un vicino di casa in modo tale che la famiglia non sia lasciata sola e che al bisogno si possa intervenire. Oltre alla lingua un altro problema è dato dal fatto che i nordafricani tendono a far comunità chiusa e per aiutare i bambini dobbiamo cercare di entrarci.

I campi estivi sono il vostro vanto.

È uno sforzo organizzativo non da poco e dipendono direttamente dalla nostra capacità di raccogliere fondi. Quest’anno abbiamo organizzato a Fondo il primo a giugno per la fascia d’età 8 – 11 anni, mentre a inizio settembre saremo a Dobbiaco col gruppo 11 – 16 anni. Con i più grandi abbiamo programmato per fine settembre un trekking che partirà da San Gimignano per arrivare a Siena.

I campi come sono strutturati?

Sotto controllo medico con la presenza di un gruppo di infermieri presenti a rotazione, i diabetologi Vittoria Cauvin e Roberto Franceschi; una dietologa; una psicologa e un’animatrice. Si organizzano una serie di attività che riescano a funzionare come sorprese.

Ha parlato di autofinanziamento, ma nessun contributo pubblico?

Nulla dal Comune né dalla Provincia. L’associazione sta in piedi unicamente per l’apporto dei volontari, lo siamo tutti anche il personale sanitario e con il ricavato dei mercatini dei quali il più importante è senz’altro quello di Natale. Dalle volontarie raccogliamo tutto purché sia fatto a mano, dalle porcellane decorate, agli acquerelli e ai lavori all’uncinetto e sa qual è la cosa che fa più piacere?

Quale?

Avere dei clienti fissi che tornano tutti gli anni ad acquistare perché convinti della qualità dei nostri manufatti.

Quali sono i sintomi dell’esordio del diabete giovanile?

Bere molto, il tornare a fare pipì a letto, un dimagrimento costante e la spossatezza; sintomi che spesso si sottovalutano prima di tutto in famiglia, ma poi anche da parte di qualche pediatra e così i bambini arrivano in reparto troppo spesso in pessime condizioni che si potrebbero facilmente evitare.

Una contromisura?

L’uso periodico generalizzato dello stick per il controllo dell’urina: farlo non costa nulla.

I bambini devono fare le punture di insulina?

Assolutamente sì anche se adesso è una procedura molto meno invasiva rispetto a una volta.

I rapporti con gli altri bambini come sono?

Non abbiamo mai avuto particolari problemi. Quello che consigliamo è che i compagni di scuola siano messi a conoscenza della malattia, ma anche delle sue cure. Il controllo della glicemia può essere fatto con il reflettometro che esamina il sangue capillare. Succede spesso che gli altri bambini chiedano di poter provare anche loro, insomma diventa quasi un gioco. Un gioco però molto importante perché conoscendo i sintomi possono essere gli stessi amichetti ad aiutare in caso di bisogno.

Le possibili alterazioni della glicemia possono creare apprensione sia nella mamma che nelle maestre.

Possono, ma adesso c’è la possibilità di autocontrollo con un sensore sul braccio. Tramite un app impostata sul cellulare il dato può essere letto da remoto e così mamma e maestra possono interagire senza problemi.

Ha un rapporto diretto con la malattia: l’emozione più forte?

Costante ad ogni esordio con il quale vengo a contatto perché rivivo quello che ho provato 40 anni fa quando il diabete fu diagnosticato a mio figlio. Il poter rassicurare i genitori che il bambino può lo stesso crescere bene e vivere una vita normale sulla base di un'esperienza diretta, è una iniezione di fiducia molto forte.

Una soddisfazione?

Quando dopo un certo periodo nel quale siamo stati in contatto ci dicono che siamo stati utili.

Come spiega a un bambino cos’è il diabete?

Dipende dall’età, ma gli racconto che al mio bambino a un certo punto il pancreas aveva smesso di produrre una sostanza che dev’essere assunta dall’esterno, ma che potrà comunque mangiare una fetta di torta o un gelato.













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