L’intervista

Le parole di Clara sono il racconto dei nuovi italiani ancora invisibili

Il tema sarà trattato stasera in una proiezione al Filmclub di Bolzano. I figli di immigrati «nati in Italia devono attendere per avere i diritti di tutti: il voto, fare politica, studiare o lavorare all’estero come italiani»


Paolo Campostrini


Bolzano. «A me l'immigrazione è stata trasmessa», dice Clara Osma. Intende una cosa precisa. Che parte nel 1998, quando in Puglia arrivano le navi cariche di migranti. Sono i primi e sono albanesi. Le carrette del mare - le chiamarono subito così, allora - fanno a fatica quel breve tratto tra Valona e Bari, poche miglia ma lungo una vita per chi ci sta sopra. Tra questi, stretti sul pontile sperando che non piova e tiri vento, c'è anche la mamma di Clara Osma. È incinta. Parte lo stesso perchè o adesso o mai più. Di là dall'Adriatico c'è l'Italia, il Paese delle mille possibilità. Pensa a sua figlia in arrivo e va. Sbarcano sulle spiagge di Ostuni. «Ho fatto quel viaggio nella pancia di mia mamma - dice oggi Clara - ed è come se quella migrazione sia stata subito dentro di me».

Nasce in Calabria, a pochi mesi dallo sbarco. Ora è laureata in mediazione linguistica, attende la magistrale in relazioni internazionali. Ha i capelli chiari e nelle foto pare che non voglia mai smettere di sorridere. È ai vertici dell'Associazione italiani senza cittadinanza. Lei l'ha avuta a 25 anni, quella cittadinanza: «Fosse stata prima non sarei stata penalizzata negli studi...». Stasera sarà a Bolzano, al Filmclub (ore 18) per "Flying roots, nuove generazioni si raccontano". Un film che è anche un progetto politico e culturale . Con lei il regista Michele Aiello e Ilaria Cagnacci della Fondazione Langer. Non è un caso che proprio giovedì 21 sia la Giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale. Il progetto che ora approda a Bolzano nasce a Roma. Lo fa in un quartiere che è divenuto uno dei centri di una nuova possibilità interculturale, l'Esquilino. Forte presenza migratoria. Tanti ragazzi di seconda generazione. La spinta nasce da una riflessione intorno alla propria possibile identità ma anche a quella delle rispettive famiglie. E gli interrogativi si intrecciano anche dentro una sorta di auto narrazione fatta dagli stessi giovani provenienti da mille culture: quali sono le radici? Cosa significa essere italiano e invece cosa appartenere a più identità? Uno sguardo che diventa cinema, si fa inchiesta e poi torna a essere quello che serve: una testimonianza di come siamo tutti, in fondo, in cammino: italiani da sempre e italiani da ieri.

Clara Osma, che dicono i nuovi italiani?

«Si sentono poco. Perchè in realtà, tanti non sono ancora italiani».

Si riferisce alla mancata concessione della cittadinanza?

«Certo. Vorrebbero aver voce e non ce l'hanno. Magari per votare, solo per fare un esempio. Difficile averla, la voce, senza possedere questo diritto. Che invece ha chi nasce qui: ma non i figli di genitori stranieri».

Lei?

«L'ho avuto in ritardo. Ma nel frattempo ho rallentato i miei studi. Non sono potuta andare all'estero come cittadina italiana e dunque comunitaria. Ma questi miei problemi sono nulla in confronto a ciò che accade a tanti di seconda o terza generazione».

Da qui nasce anche questo progetto-film?

«C'è l'esigenza di fare i conti con gli stereotipi, soprattutto. Che mettono insieme tutto: nuovi immigrati, vecchie generazioni, ragazzi e ragazze nate in Italia e che devono attendere di diventare adulti per avere diritti riconosciuti a ogni cittadino: il voto, poter far politica, lavorare all'estero come italiani. O studiarci».

I suoi sono arrivati qui con la prima ondata migratoria.

«È così. Mia mamma mi ha portato con sè che non ero ancora nata ma quel viaggio, quei mesi è come se li avessi vissuti lo stesso. E poi gli anni dei primi lavori dei miei genitori, l'accoglienza in Calabria, a Locorotondo, l'aver incontrato anche tanta gente per bene. Ma migliaia di altri ragazzi non hanno queste fortune».

Avvertono il pregiudizio?

«Eccome».

Cosa pensa di questa forte pressione migratoria, che è in grado anche di spostare voti e di suscitare una percezione di insicurezza in tanti italiani?

«Allora, mettiamo le cose in chiaro. Noi ci occupiamo di diritti, dell'accoglienza deve occuparsi la politica. Ha i mezzi, ha gli uomini, ha centinaia di parlamentari. Il problema è che sono state ritardate vere politiche migratorie e così facendo si è resa la questione esplosiva».

Che fare?

«Creare ambienti sociali capaci di condividere, offrire strumenti per superare i pregiudizi, far conoscere le persone tra loro, dialogare con i nuovi italiani. Ha visto quella scuola in Lombardia?».

Intende la classe che ha proposto una giornata di vacanza in più anche per il ramadan, vista la presenza di una maggioranza di studenti stranieri?

«Quella».

Lei che ne dice?

«Ho sentito cose come rischio di sostituzione etnica e altri allarmi sul fronte religioso. In realtà qui non si chiedono privilegi, si chiedono le stesse opportunità. Ecco il nodo. Parità di diritti e di doveri per chi è nato qui, di qualsiasi fede o etnia ma pure parità di diritti».

Di quale si sente maggiormente la mancanza?

«Del diritto che ti dà voce, che toglie dall'invisibilità: il voto».













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