Il Burkina Faso “studia” l’Ufficio di stato civile di Lavis

Lavis. Una famiglia di rifugiati, una coppia con un bambino, è in arrivo a Lavis: sarà ospitata all’interno della casa Pezcoller, in via Degasperi. La notizia è stata confermata, martedì sera, nell’in...



Lavis. Una famiglia di rifugiati, una coppia con un bambino, è in arrivo a Lavis: sarà ospitata all’interno della casa Pezcoller, in via Degasperi. La notizia è stata confermata, martedì sera, nell’incontro con gli immigrati che già vivono a Lavis. L’occasione era la presenza in paese di due sindaci provenienti dal Burkina Faso – André Batiana e Maurice Mocktar Zongo –, in zona in questi giorni per promuovere un progetto che riguarda direttamente lo stato africano, su iniziativa della Provincia di Trento con la Comunità di Sant’Egidio.

L’intento è di agevolare la registrazione delle nascite allo stato civile, per combattere in questo modo il fenomeno dei bambini invisibili. Per questo, i due sindaci in questi giorni hanno visitato Rovereto, Lavis e Frassilongo: per conoscere i rispettivi sindaci e fare tappa negli uffici. Hanno raccontato cosa succede a casa loro: in una realtà sempre più funestata dal terrorismo, probabilmente di matrice jihadista. Ma è stato in più larga misura un momento di scambio culturale.

Il sindaco Andrea Brugnara ha accompagnato i due colleghi in visita al giardino dei Ciucioi, hanno partecipato alla vendemmia e visitato la Cantina sociale di Lavis. Poi la sera l’incontro con tutti gli immigrati che vivono in paese.

Secondo i dati dell’anagrafe, gli stranieri a Lavis sfiorano il 10 per cento dell’intera popolazione. Quelli provenienti dal Burkina Faso sono 18, ma l’incontro di martedì era aperto a tutte le diverse nazionalità: «È solo l’inizio – ha detto l’assessore Franco Castellan –. Vorremmo incontrare di più i cosiddetti immigrati, per farli sentire parte di questa comunità. Fra poco accoglieremo una nuova famiglia di rifugiati che sarà ospitata in un appartamento, alla casa Pezcoller. Facciamo insomma la nostra piccola parte perché la cultura dell’accoglienza si diffonda anche qui». D.E.















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