Tomas Franchini è pronto per scalare il Lamo She Shan

madonna di campiglio. Le mani degli alpinisti parlano, delle loro imprese, del loro vissuto, della loro voglia di tornare in parete, attraverso le callosità del recente passato e la destrezza dei...


Elena Baiguera Beltrami


madonna di campiglio. Le mani degli alpinisti parlano, delle loro imprese, del loro vissuto, della loro voglia di tornare in parete, attraverso le callosità del recente passato e la destrezza dei preparativi dell’ impresa imminente. Le mani di Tomas, sanno dire più della sua stessa parola sulla voglia di avventura e di verticalità, sono mani dure, avvezze alla fatica di stringere una corda, o trovare un appiglio. E se le mani fremono, lo sguardo a dir poco si illumina parlando di una montagna lontana il Lamo She Shan, una cresta attorno al Lama She, che si trova nella prefettura tibetana di Garza (parte della provincia cinese del Sichuan), che Tomas Franchini aveva già adocchiato durante la salita in solitaria al monte Edgar. Compagno di cordata e d’avventura non più il fratello Silvestro, ma l’amico Pietro Picco, guida alpina di Courmayeur. Partenza il 1° maggio da Milano, scalo ad Amsterdam e poi un’unica tirata fino a Chengdu, ultimo avamposto civilizzato prima di arrivare nella magica e inesplorata valle del Lamo She.

Perché proprio quel luogo e quella montagna?

«La valle del Lamo She Shan, con la cresta omonima è un territorio sconosciuto. Il versante ovest del massiccio è stato scalato più volte, mentre da est non solo nessuno è mai salito, ma nessuno ha mai tentato di avvicinarsi, non esistono sentieri, nessun tipo di percorso, dovremo farci strada a colpi di ascia. Il nostro contatto ci porterà fino a dove finisce la civiltà ed inizia un territorio selvaggio, che non è nemmeno segnato sulle mappe satellitari».

Non alla ricerca della performance alpinistica dunque, ma di una sorta “Into The Wild”.

«Una attrazione fatale per me quella della natura nella sua integrità, anche nella sua asperità se vogliamo, anzi forse è proprio questo aspetto che ci spinge in quei luoghi, la voglia di conoscere ed al contempo di perderci in un mondo che in occidente ormai non esiste più. Ma ci sarà anche da scalare, dopo aver fissato il campo base, proveremo ad attaccare la parete, saranno circa 1.500 metri di dislivello in stile alpino».

L’avventura è fantastica ma presuppone il fatto di avere dei mezzi per affrontarla e voi come vi siete sovvenzionati?

«Sappiamo che la nouvelle vague alpinistica si ispira alla purezza integrale, a non lasciare traccia alcuna del proprio passaggio, né in parete, né dell’impresa in sé, ma senza gli sponsor con il lavoro da guida alpina d’estate e maestro di sci d’inverno non si potrebbe nemmeno pensare a queste imprese».

E quindi i nostri eroi partiranno per essere in loco prima dell’arrivo del monsone, vestiti, attrezzati, rifocillati, dotati di supporti energetici e abbigliamento delle più note ditte di attrezzatura e abbigliamento da montagna. A noi tutti non resta che seguirli fino a quando il segnale del satellitare e i messaggi sui social lo consentiranno e poi attendere con il fiato sospeso il 5 giugno, data prevista per il loro rientro.















Scuola & Ricerca

In primo piano