IL LUTTO

Addio padre Gregorio, leader e guida di tante generazioni

Nato a Rumo nel 1934, è stato la guida della parrocchia di Santa Caterina a Rovereto per almeno 40 anni. Padre provinciale dei Cappuccini dal 2001 al 2007


Paolo Mantovan


ROVERETO. Tre giorni prima di lasciare tutti quelli che lo amavano, padre Gregorio aveva confidato a una coppia che aveva visto crescere, fidanzarsi, far famiglia, arrivare pure alla pensione, che lui era sereno, che aveva vissuto bene: «Io ho avuto voi, il gruppo giovani e famiglie, ho avuto una vita bella, non ho rimpianti».

E lunedì, nel tardo pomeriggio, padre Gregorio ha smesso di respirare: è morto nel suo letto d'infermeria del convento dei frati cappuccini di Rovereto, serenamente. Al suo capezzale c'erano due parrocchiani che si davano il turno con altri amici e con i frati nelle ultime giornate di malattia.

Pio Moggio (questo il nome all'anagrafe) era nato a Rumo in val di Non il 18 gennaio 1934 ed è stato un protagonista nella storia della Rovereto anni Settanta, perché era un frate che sapeva interpretare un nuovo modo di essere chiesa, fra impegno e libertà. Era della generazione di quei sacerdoti cresciuti con il vento in poppa del Concilio Vaticano II e proprio con quello spirito di apertura verso il mondo Gregorio approda a Rovereto nell'agitato '68, dopo una breve esperienza a Mantova.

Nel maggio di quell'anno, con una città in piena espansione industriale e urbanistica, viene istituita infatti la nuova parrocchia di Santa Caterina, a capo della quale è destinato padre Cherubino Bernard, fassano di Campitello, che si ritrova come braccio destro per l'appunto il noneso Gregorio-Pio, in qualità di cappellano. Appena insediato, Moggio s'inventa una lettera che invita i giovani della parrocchia a fare gruppo e a "cambiare il mondo" con atti concreti. No, non è un rivoluzionario, Gregorio: propone però di smazzarsi per gli altri, di dimostrare che il mondo si rovescia rimboccandosi le maniche, mica a parole.

Lui è uomo pratico e spirituale, un mix perfetto: coinvolge e dà responsabilità nell'ambito operativo come in quello teorico. Così i ragazzi iniziano la raccolta carta con dei carretti e si organizzano in squadre di imbianchini per pitturare le pareti di chi abita alloggi di fortuna al Follone. Ma nell'epoca dell'assemblearismo Gregorio ha pure l'ardire (a Rovereto!) dell'intellettuale che dà vita a riunioni e verifiche sul senso della partecipazione e del gruppo. Un po' alla volta attorno al frate si raduna una folla di giovani e di famiglie che arrivano anche da paesi vicini, prendono forma attività di catechesi in un clima da oratorio e soprattutto nascono i "campeggi", momenti di vita condivisa in case coloniche o in vecchie baite riadattate, prima a Brusago, poi a Ziano, a Fiera di Primiero, infine a Monclassico. Campeggi che cementano generazioni di roveretani e dove il "capo" è sempre lui, perché Gregorio ha il fascino di chi sa ascoltare e di chi si fa ascoltare, di chi sa assumere responsabilità e insieme cederla, ma soprattutto perché - campione di intelligenza - ha la capacità di "comprendere".

E attorno a lui si formano - nel carattere e nella costanza - persone che poi diverranno manager, prof, dirigenti, operatori sociali, medici, professionisti, volontari. Nel 1979 i frati decidono il trasferimento di Gregorio a Terzolas, in val di Sole, per gestire la casa vacanze. La parrocchia si mobilita, i giovani si sentono privati della guida. Ma il frate capisce che è tempo di cambiamenti e invita i "suoi" giovani alla responsabilità, a prendersi in mano le sorti delle attività avviate. E con una grande colletta il consiglio pastorale gli regala un'auto, una Fiat 128 rossa, che lo "costringa" a scendere a Rovereto quando possibile.

A Terzolas Gregorio impara a fare l'apicoltore, dà spazio all'amore per la natura e rafforza lo studio delle fonti francescane, ma già nel 1982 ritorna a Santa Caterina. Dove matura una nuova svolta: dopo la stagione da "frate di oratorio", ecco l'epoca del Gregorio operatore sociale, in "missione" per gli ultimi. Si mette in gioco andando a Villa Argia a Mori, a collaborare con don Francesco Malacarne, nella carpenteria che prepara il reinserimento di persone con disagio psichico, quindi condivide il pasto con i senza fissa dimora nella "mensa dei frati" in una saletta a fianco della portineria. La sala si allarga e a pranzo arrivano altri parrocchiani.

Fino a quando, su spinta di questo gruppo di volontari, nasce - sostenuta dalla Fondazione Charitas - la Casa d'accoglienza di fronte al convento che ora prende il nome de "Il Portico". Gregorio si impegna come responsabile operativo anche della Cooperativa Girasole (dove lavora insieme a Giuseppe Piamarta) ma poi nel 1998 deve svoltare di nuovo e si trasferisce, ad Arco, come "maestro" dei novizi al centro vocazionale, prima di spostarsi a Trento nel 2001 perché eletto padre provinciale (ossia capo dei frati di tutta la provincia) fino al 2007. Un compito che accetta per obbedienza alla regola dei frati, che infatti dopo il ruolo da capo lo rispedisce come umile fratello a servire i più anziani in infermeria, a Rovereto.

Lì vive gli ultimi anni, superando in sofferenza il covid e vedendo cadere uno ad uno tanti frati della comunità. Ma non smette di mettersi a servizio e di studiare, confortato dalla vicinanza ancora di tante persone che ha visto crescere. Persone che hanno conosciuto la forza di questo frate capace di rinnovarsi sempre, magnifico interprete di ogni epoca della vita, consapevole dei suoi numeri e dei suoi limiti, ricco di fede e di umiltà fino all'ultimo minuto. Stasera alle 20 un momento di preghiera in Santa Caterina, domani alle 16 il funerale.













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