Un argine all'onda salviniana



La sintesi più azzeccata è in una delle battute tanto care a Mentana: piange il citofono. Per spiegare non solo la vittoria di Bonaccini, ma soprattutto la sconfitta di Salvini (la Borgonzoni in questa recita era una comparsa), serve infatti una battuta: perché molti, in questa campagna elettorale, hanno messo da parte la politica per trasformarla in farsa, in una sorta di filmetto da mandare in onda in tv, quasi a reti unificate.

L’ex ministro dell’Interno che credendosi uno sceriffo del vecchio West suona un campanello è sicuramente il punto più basso di una sfida che lui stesso ha voluto riempire d’odio. Ma è anche, ammettiamolo, una fotografia di ciò che amano alcuni elettori e di ciò che invece - ed è questa la vera lezione che arriva da Bologna e dintorni - altri elettori o detestano o iniziano comunque a non sopportare più. Vanno bene gli slogan, è il messaggio che arriva dall’Emilia Romagna, ma governare è un’altra cosa. E richiede impegno, serietà, presenza, anche impopolarità, qualche volta. Perché chi governa non può piacere sempre a tutti.

La vittoria del centrosinistra in Emilia Romagna è la vittoria anche del governatore uscente e rientrante, che è riuscito a far capire agli elettori della sua terra che domenica si giudicavano cinque anni di governo Bonaccini e non le complicate stagioni del governo Conte. La sconfitta di Salvini sta infatti anche nel non aver capito che quello del 26 gennaio non era il solito referendum. Non era una “gara” fra lui, il capitano che pensava d’aver già vinto, e medioman Conte, il grigio interprete di una altrettanto grigia stagione che però dà una certa sicurezza al Paese. Sì, a quest’Italia che un po’ vuole cambiare e che un po’ il cambiamento lo teme. Soprattutto nella declinazione da pistolero proposta da Salvini.

Cercare di trasformare un voto in un duello, impone a chi il duello l’ha perso di capire che l’Italia cambia idea in fretta. Prima s’innamora e poi si stufa: per capirlo, il leader leghista, può chiedere qualche informazione a Renzi o a Di Maio. Con una differenza: che il primo, abilmente, di fatto non è sceso in campo; mentre il secondo è stato letteralmente travolto. Il Movimento 5stelle è praticamente scomparso. Nel giro di poche stagioni. E sbaglia chi pensa che si sia spostato tutto verso la novità della stagione: le Sardine - che hanno indubbiamente il grande merito d’aver riavvicinato molta gente e molte generazioni al voto - sono infatti qualcosa di diverso. 

Ora però dovranno decidere da che parte stare e cosa diventare. Riempire le piazze entusiasma: ma il mare di persone ora aspetta indicazioni, proposte. Passare dal sogno all’idea da realizzare è meno facile di quanto si possa pensare.

Poi c’è la Calabria, con la vittoria schiacciante del centrodestra. Ma in questo caso il messaggio è un altro: c’è un pezzo di Paese che si sente abbandonato e che non sa più a chi affidarsi. 

Se l’Emilia Romagna è un argine che ha retto all’onda salviniana, la Calabria è una frana che Roma stenta a capire. Quasi un’altra Italia.













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