Il romanzo di Kubala



Sull’aereo del Grande Torino, precipitato a Superga, doveva esserci anche lui. Non ci sale solo perché gli dice no il presidente della Pro Patria, la squadra di Busto Arsizio - allora in serie A - che l’aveva in formazione, senza poterlo peraltro far giocare, se non in amichevole, per via di una squalifica internazionale. Già.  Laszlo Kubala era fuggito dall’Ungheria, da un regime che non sopportava. Aveva 22 anni, era considerato uno dei migliori calciatori d’Europa. Ckubalahe storia, le storie di Kubala. Restituite da un libro che si legge d’un fiato. Perché è vero quel che si legge sulle note di copertina di Più che un calciatore, il libro che Lorenzo De Alexandris ha voluto dedicare (Ultrasport edizioni) al “campione, ribelle, sognatore, anticonformista, uomo di famiglia e del popolo, lavoratore, divo, attaccante, centrocampista, allenatore.” Laszló Kubala è stato tutto questo, scrive De Alexandris,  ma non solo. “La sua vita è stata straordinaria, tragica, rocambolesca, molto pubblica ma anche intima e segreta”. Biografia romanzata, dunque. Per raccontare l’uomo che ha giocato per tre nazionali (Ungheria, Cecoslovacchia, Spagna), nove compagini (su tutte il Barcellona: 186 partite, 131 reti) ed ha allenato dodici squadre. Oltre che fondatore della “squadra che non c’è”, l’Hungaria, nel campo profughi di Cinecittà a Roma. Questo è il romanzo di Kubala, classe 1927, scomparso nel 2002. In ventuno densi capitoli ed una emozionante appendice, De Alexandris lo riporta tra noi. Figura da leggenda. Nome da pronunciare con doveroso rispetto.













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