Il libro

Giuseppe Bottai, il fascista anti-nazista 

IIl giornalista Angelo Polimeno Bottai in “Mussolini io ti fermo” ripercorre la vita del nonno, ministro ed esponente di spicco del regime, poi tra i firmatari dell’Ordine del giorno Grandi e infine soldato semplice della Legione straniera per combattere contro i tedeschi sulla linea Sigfrido


Luca Fregona


Bolzano. Angelo Polimeno Bottai, giornalista, già vicedirettore del Tg1, è il nipote di Giuseppe Bottai, figura complessa, per certi versi sorprendente, e contraddittoria del fascismo. Ministro di Mussolini, ma fiero oppositore dell’alleanza con la Germania nazista. Nel 1938 espelle gli studenti ebrei dalle scuole, ma il 25 luglio del ’43 è tra i firmatari dell’ordine del giorno Grandi che segnerà la fine del regime. E ancora, nell’ultimo scorcio della seconda guerra mondiale, soldato semplice con la Legione straniera francese per combattere contro i tedeschi sulla linea Sigfrido.

Angelo Polimeno Bottai il nonno non lo ha conosciuto (“è morto nel 1959, pochi mesi prima che io nascessi»), ma con il suo fantasma ha dovuto fare i conti per tutta la vita, nel bene e nel male. «Ha avuto nemici in vita e anche da morto». Ora gli ha dedicato un libro “Mussolini io ti fermo. Storia leggendaria di Giuseppe Bottai, scelse la patria, combatté in nazisti» (Ed. Guerini e associati). Compito non facile separare i sentimenti dalla ricostruzione storica, il racconto familiare, che inevitabilmente tende ad assolvere e mitizzare, dalla realtà dei fatti. Certo è, che Giuseppe Bottai non si può incasellare nel cliché classico del fascista fanatico, sdraiato nei confronti di Mussolini (era uno dei pochi che dava del tu al duce). E che il suo riscatto finale (l’ordine del giorno Grandi, la decisione di combattere i nazisti), lo pone su un piano diverso rispetto agli altri papaveri del ventennio. «Ho cercato - spiega Angelo Polimeno Bottai - di scrivere un libro onesto. La mia è stata un rigorosa inchiesta giornalistica, proprio per evitare fraintendimenti, che si dica “be’, non potrà certo parlarne male visto che è il nipote...”. Sì, ok, era mio nonno. La sua storia, per certi versi, è anche la mia: per questo sono stato ancora più severo nella ricerca. Mi sono sentito in dovere di documentare tutto quanto con puntigliosità da storico. Ho voluto capire senza nascondere, ma anche rivendicare la libertà intellettuale di mio nonno, lo spirito critico che lo mise in contrasto aspro con Mussolini».

Angelo Polimeno è figlio della secondogenita di Bottai, Maria Grazia, anche lei giornalista e scrittrice. «Poco prima di morire, mia madre mi chiese di aggiungere al cognome di mio padre anche il suo. Con lei quello di mio nonno sarebbe andato irrimediabilmente perso».

Qual è la storia di Giuseppe Bottai?

«Nasce nel 1895 a Roma, figlio di un repubblicano mazziniano, che aveva una rivendita al minuto di vino. Cresce nel quartiere Macao, vicino alla stazione Termini. Un quartiere borghese ma molto vicino ai rioni popolari. E soprattutto: un quartiere di caserme. Da ragazzo si interessa poco alla politica, sogna di fare il giornalista letterario. È attirato però dal Risorgimento patriottico, dalla divisa, da quella idea che il Risorgimento non fosse ancora concluso. Così, alla fine del liceo, decide di arruolarsi volontario per combattere nella prima guerra mondiale».

Negli alpini, è uomo di trincea...

Sì. Fa parte degli Arditi. Il coraggio non gli mancava. Gli austriaci lo catturano, ma lui ruba la pisola al soldato di scorta, lo uccide con un colpo alla nuca, scappa e ritorna in prima linea. A guerra finita, comincia ad appassionarsi sempre di più alle problematiche del Paese. Respira il clima di disprezzo che investì, come una tempesta amara, i reduci. Si sentirono di colpo messi sotto “processo”, nonostante avessero sacrificato molto e visto i compagni morire.

Insomma, si identifica in quel movimento del ’19 che trova nel fascismo nascente una possibilità di riscatto...

Sì. Era un uomo d’ordine. Vedeva il Paese sull’orlo del caos: povertà, miseria, arretratezza, e il vento della rivoluzione bolscevica che iniziava a soffiare nelle città industriali. Scioperi nelle fabbriche, sollevazioni nelle campagne, il biennio rosso...

Descriverà il primo incontro con Mussolini come “una folgorazione”...

Esatto. Era convinto fosse l’uomo giusto per portare l’Italia fuori dall’incertezza. Il fascismo era la strada che gli si era spalancata davanti...

A Mussolini faceva comodo: un ex ardito ma anche colto, un intellettuale...

Mussolini all’inizio si serve molto di lui. Era un po’ il fiore all’occhiello del regime. Utile per accreditare il fascismo presso i circoli intellettuali e anche all’estero, dove Bottai era molto stimato. Mussolini era un abile manipolatore: si serviva da una parte del moderato Bottai, e dall’altra dell’ala violenta dei vari Farinacci e Pavolini. Traccheggiava a seconda di quello che gli conveniva.

Il delitto Matteotti, giugno 1924, segna la prima spaccatura con il duce.

Sì. Bottai pubblica un fondo durissimo sul suo giornale “Critica fascista”. Pretende la punizione dei responsabili anche ai massimi livelli del regime. Chiede un radicale cambio della dirigenza del partito. Dice a Mussolini di allontanare i picchiatori e di fare la rivoluzione fascista con la parte migliore del Paese.

E il duce che fa?

Un po’ lo rimprovera, gli manda indietro le bozze del suo giornale con i segnacci in rosso. E un po’, comunque, lo utilizza come testa di ponte tra gli scrittori, gli artisti, i pittori.

Cosa incredibile: Bottai pubblica il Capitale di Marx.

Sì. Riesce a farlo in un periodo in cui Mussolini lo tollera, lo lascia abbastanza libero di agire.

Un capitolo nero che lo coinvolge è quello delle leggi razziali: è il ministro dell’istruzione che ordina l’espulsione di migliaia di studenti ebrei.

La domanda che molti storici autorevoli si sono posti (e che anch’io mi sono posto) è: come mai un uomo così aperto culturalmente, che aveva una vera repulsione per il nazismo, si sia imbarcato in questa follia. Perché si è assunto questa responsabilità?

La risposta esiste?

Sì. Fino al 1938, Bottai non scrive una riga dal sapore razzista. Né nei confronti degli ebrei né di nessun altro. Era tornato fortemente indignato da diversi viaggi in Germania. Aveva consegnato a Mussolini una serie di rapporti molto critici verso il nazismo e Hitler. Sui suoi giornali “Critica fascista” e “Primato” scrivevano numerosi autori di origine ebraica. Va ricordato che dopo la conquista dell’Etiopia, Bottai non solo si rifiuta di partecipare alla guerra di Spagna, ma prende posizione. Lui è contrario. È contrario che il fascismo si mischi sia con il franchismo spagnolo sia con il nazismo tedesco.

Resta il fatto che lui è il ministro dell’educazione nazionale di un regime che applica le leggi razziali inseguendo il disegno criminale di Hitler...

Quando vennero promulgate le leggi razziali, l’ala che faceva capo a Farinacci, l’ala filonazista del partito, iniziò una durissima campagna di stampa insinuando che Bottai fosse ebreo. Su giornali come il Tevere, diretto da Telesio Interlenghi e con Giorgio Almirante capo redattore, uscirono innumerevoli articoli. Lo chiamavano “Peppino er giudiolo”. Lo stesso Mussolini insinuava che fosse un “mezzo sangue”. Hitler impedì al suo omologo tedesco di incontrarlo, diede ordine all’ambasciata tedesca di Roma di indagare sulle sue origini. Lo bollarono come il “ministro ebreo di Mussolini”.

Espelle comunque gli studenti ebrei da scuole e università...

Lui si pone una domanda. Che faccio ora? Mi dimetto e lascio il posto a un ministro filo nazista, magari indicato da Farinacci, o resto al mio posto per cercare di limitare i danni? Fa buon viso a cattivo gioco. Si mostra intransigente esecutore di quelle leggi, però cerca di depotenziarle al massimo. Si batte per consentire alla comunità ebraica di avere dei propri istituti scolastici finanziati dallo Stato. Non era la soluzione del problema, ma è stato un tentativo di fare qualcosa. Meir Michaelis, storico dello Yad Vashem, ha dichiarato in una intervista che Bottai fece tutto il possibile per contenere i danni delle leggi razziali».

Una pagina poco conosciuta è l’impegno di Bottai per difendere il patrimonio artistico italiano dagli appetiti di Hitler...

«La legge del 1939 per la difesa del nostro patrimonio artistico nasce soprattutto in funzione antinazista. Mussolini, che in quel momento soffre per le sanzioni imposte dalla Società delle Nazioni per la sua politica coloniale, dipende sempre di più dal sostegno e dai rifornimenti di Hitler. Ed è sempre più cedevole nei confronti delle richieste di Hitler e Göring, famelici, ingordi di opere d’arte classiche, di cui l’Italia è ricca, smaniosi di mettere le mani su quadri e sculture. Bottai vara questa legge che rende più complicata l’esportazione delle opere d’arte.

E mette in piedi una rete capillare...

Insieme al suo collaboratore Giulio Carlo Argan (storico dell’arte e futuro sindaco comunista di Roma, ndr), allora trentenne, organizza una colossale operazione per salvare oltre diecimila opere d’arte con l’eroica partecipazione di alcuni sovraintendenti da lui nominati, tutti senza tessere di partito.

Arriviamo alla resa dei conti con il duce...

Il rapporto umano con Mussolini si era già logorato dalla guerra d’Etiopia. Con l’entrata in guerra accanto alla Germania, questa frattura si allarga drammaticamente. Il 10 giugno del 1940, quando tutta Italia è in piazza ad applaudire Mussolini sul balcone di piazza Venezia, lui dice a moglie e figli che è un giorno nefasto e non c’è proprio nulla da festeggiare. Nel gennaio del 1943 Mussolini fa un rimpasto di governo e toglie i dicasteri a Bottai e Grandi. I rapporti erano molto tesi.

Il 25 luglio ’43 è tra i firmatari dell’ordine del giorno Grandi...

Di fatto, Bottai è stato l’uomo del 25 luglio più di tutti. Erano anni ormai che esercitava un’azione di critica interna al fascismo, l’unica possibile in una dittatura. All’inizio lo faceva in chiave propositiva. Poi capì che Mussolini era pericoloso e andava “disarmato”. Gli andava tolto il potere. Per questo, Bottai è stato il vero uomo simbolo del 25 luglio, al di là di chi poi scrisse materialmente l’ordine del giorno. Questa presa di coscienza la dimostra ancora di più dopo. Cinque dei firmatari, tra cui Ciano, vengono fucilati alla schiena dalle Brigate nere a Verona, gli altri scappano all’estero, chi in Sudamerica, chi in Portogallo...

E Bottai?

Condannato a morte dai fascisti e sulla lista nera degli alleati, è l’unico - a 50 anni suonati - che si arruola soldato semplice, sotto falso nome, nella Legione straniera francese per andare a combattere contro i nazisti sul fronte occidentale.

Il legionario Andrea Battaglia...

Esatto. È incredibile che questa sua scelta venga spesso ignorata. Capisco che sia imbarazzante, che crei problemi ai nostalgici di quella stagione, e a quelli, dall’altra parte, che non riescono a concepire il fatto che un fascista così compromesso si sia fatto poi carico delle sue responsabilità politiche, rimettendo in gioco la sua vita.

Si congeda dalla Legione straniera nel 1948, ma sulla sua testa in Italia pesava una condanna all’ergastolo.

Tanti ex fascisti torneranno in Italia grazie all’amnistia Togliatti. Bottai è l’unico che si conquista l’amnistia da solo, grazie ad una legge che consentiva di essere assolti in Cassazione a chi dimostrava di essersi battuto per la libertà. È mia nonna Nelia - che era a Roma, mentre Giuseppe si trovava in Algeria -, a contattare il comando della Legione straniera. Riesce a ottenere la dichiarazione che attesta che ha combattuto con onore contro i tedeschi. E con questo foglio, portato in tribunale, mia nonna ottiene la piena assoluzione. Ripeto: Bottai è stato l’unico che se l’è conquistata da solo.













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