Sorrisi, ghigni e sberleffi per scacciare demoni e spiriti 

Le chiese della regione sono piene di teste di esseri fantastici. Ecco perchè


di Fiorenzo Degasperi


Sembra quasi che sorrida questa testina di pietra bianca appena sbozzata. È tonda come il sole che la riscalda ogni mattina, con i raggi che portano speranza e il ricordo del Paradiso Perduto. La testina è scolpita sulla stampella della bifora dell’esile campanile romanico della chiesa gotica dei SS. Filippo e Giacomo a Sardagna, a pochi chilometri da Trento. Ormai quasi nessuno sa dell’esistenza di questa immagine eppure un tempo i fedeli alzavano gli occhi in quella direzione perché consideravano questa testina un simbolo di augurio e di vita feconda. Per questo è rivolta ad oriente e non si trova sulle stampelle delle altre bifore. Nel medioevo i costruttori e i lapicidi di chiese romaniche e gotiche, anche le più isolate, si sbizzarrivano a popolare gli edifici religiosi di teste, testine, crani, teschi, maschere e mascheroni di uomini e animali, di diavoli, esseri fantastici e demoni. Tutte svolgevano comunque la funzione apotropaica di tener lontano il male, scacciare la sfortuna e impedire al demonio di impossessarsi della chiesa, oppure di attirare la fortuna, la speranza sui fedeli che si aggiravano nello spazio sacro della chiesa. E proprio per tener lontani i fantasmi maligni fu scolpita una teoria di testine umane alternate a quelle animali (soprattutto tori, simbolo di fertilità, forza, potenza) sul cornicione meridionale del Duomo di Trento. Perché i demoni meridiani fanno altrettanta paura di quelli che nascono ad occidente e accompagnano – o trascinano – i viventi nell’oltretomba. Una forte difesa simbolica la cui origine si perde nelle facce etrusche spaventose, sbeffeggianti e linguacciute collocate come antefisse in terracotta sui bordi dei tetti, diventate con il tempo meduse, gorgoni, sileni con evidenti caratteri demoniaci e apotropaici. Gli stessi popoli galli, esenti da architetture sacrali in pietra, hanno contribuito all’eredità medioevale “abbellendo” le loro capanne con teschi di animali, di nemici, mascheroni totemici scolpiti nel legno tra realtà e mito. Strabone riferisce che inchiodavano all’architrave delle proprie case le teste mozzate dei nemici uccisi in combattimento.

Se i costruttori romanici si accontentavano di arricchire l’esterno delle chiese e delle cappelle alpestri di un bestiario umano terrificante, irriverente, talvolta invece solare, i lapicidi gotici disseminavano questa presenza ovunque, partendo dalle mensole che sorreggono i costoloni, fino ai soffitti, ai pulpiti, alle entrate delle porte: un vero e proprio mondo di teste senza corpo. Basta entrate nella piccola chiesa di S. Andrea ad Antlas, vicino a Longostagno, per sentirsi accerchiati da queste presenze mefistofeliche. Le troviamo a pochi metri dall’altare, nell’abside, nella parte più sacra e misteriosa della chiesa. Sono forse lì per tener lontani gli spiriti che aleggiano su questo terreno, antico luogo di culto retico? Oppure per accogliere – visto che siamo sul Renon – i ricorrenti sabba delle streghe, come ben sanno le donne di Castelrotto? Uno ha la lingua completamente fuori come se fosse la dea Kali, colei che è il tempo, oppure Ganesha, l’elefante apportatore di fortuna: ti sbeffeggia a pochi metri dall’altare. Un’altra testa sembra tenere in bocca una mela, un’altra ancora spunta da una colonna. Sul soffitto un lacerto di marmo presenta due facce opposte, una sbigottita e sorpresa, l’altra silenziosa e truce. Ci vengono in mente i doccioni del duomo di Bolzano fatti di draghi, serpenti e volti satanici, o quello aereo della cappella della Madonna al Santuario di Maria Trens.

Forse per contraltare a tutte queste presenze burlesche, nella chiesa di S. Ottilia a Longostagno i visi si trasformano in angeli musicanti e nei docili evangelisti col libro in mano. Ben più terribile è la bocca che s’ingoia una colonna nella chiesa di Terlano o l’inquietante uomo-albero con gli occhioni sgranati che ci accoglie sullo stipite della parrocchiale di Burgusio frenando – basta lo sguardo – ogni malintenzionato. Bisogna arrampicarsi fino a Tagusa (Castelrotto) per vedere, sul campanile della chiesa di S. Maddalena, una testina assai stramba: il mento schiacciato, il naso affilato e un berretto frigio con pon pon finale. Che sia il ricordo del culto del dio Mitra che si teneva nel paese sottostante di Ponte Gardena, l’antica “statio” di Sublavio? Si era arrivati perfino a scolpire il viso di Mainardo II del Tirolo per riempire un incavo del pilastro nella chiesa di S. Giovanni a Covelano. Chi più di lui poteva tenere lontano dal presbiterio ogni bestemmiatore? oppure era l’espressione della sua onnipotente presenza con funzione di controllo dei suoi sudditi? Anche l’abside di S. Floriano a Laghetti affida ad una testina, alternata ad aquile e animali simbolici, la difesa dello spazio sacro. Guardano tutti ad oriente.















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