25 aprile

«Parificare via Rasella e i lager nazisti non è pacificare»

Parla lo storico Francesco Filippi. «Con queste letture revisioniste si vogliono mettere sullo stesso piano fascisti e antifascisti come combattenti di una guerra civile, ma non fu una guerra civile»


Paolo Mantovan


TRENTO. Francesco Filippi non è “soltanto” uno storico della mentalità, Francesco Filippi è l’autore di un libro di grande successo: Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo. E la parte maggiore della sua attività il trentino Filippi la dedica al rapporto fra memoria e presente, mettendo in evidenza in particolare che gli italiani non hanno ancora fatto i conti con il fascismo (a questo si riferisce l’altro suo libro edito da Bollati Boringhieri, Ma perché siamo ancora fascisti?).
E sulla strage di via Rasella, l’attentato partigiano che “provocò” la reazione nazista con l’eccidio delle Fosse Ardeatine, vicenda che più di ogni altra rappresenta la “memoria divisa” degli italiani, Filippi ha le idee ben chiare.

Filippi, quella di via Rasella fu un’azione della Resistenza romana contro le forze di occupazione tedesche e rimane il più sanguinoso e clamoroso attentato urbano antitedesco in tutta l'Europa occidentale. C’è chi sostiene che sia stato un grande errore dei partigiani. Un attentato che scatenò la vendetta dei nazisti attraverso la decimazione.
L’attentato di via Rasella non fu un errore. E i giudici, sia in sede civile che penale, sono giunti alla conclusione che si trattò di un legittimo atto di guerra. Con la sentenza dell’11 maggio 1957, la Corte di Cassazione ribadì il carattere di legittima azione di guerra dell'attentato. Per lo stato italiano si è trattato di un atto legittimo che si inserisce nella storia della Resistenza europea e che ebbe la funzione di far rispettare lo statuto di “città aperta” di Roma.

Ma nel tempo, in più occasioni, e ora nuovamente con le dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa, si fanno emergere aspetti controversi, in particolare il fatto che il battaglione “Bozen” preso di mira fosse un elemento quasi decorativo rispetto alle forze d’occupazione.
E invece la storiografia dimostra che l’attentato compiuto contro il battaglione “Bozen” era un obiettivo più che legittimo, perché i militari del battaglione erano usati per azioni anti-partigiani e quindi erano integrati tra le forze naziste.
Questo lo dicono fior fiore di storici, a partire da Alessandro Portelli, e lo confermano le sentenze della magistratura. Dirò di più: quella di via Rasella è davvero una delle operazioni più brillanti in assoluto della Resistenza italiana, perché come attacco unico è uno dei più riusciti.

Questa vicenda continua a tenere banco, testimoniando la “memoria divisa” degli italiani. Sarà mai possibile arrivare alla pacificazione?
Di pacificazione sarebbe giusto parlare. Ma queste letture revisioniste puntano non alla pacificazione, ma alla “parificazione”: si vuole mettere sullo stesso piano fascisti e antifascisti come combattenti di una guerra civile.

Quindi il suo giudizio è chiaro: non fu una guerra civile.
La guerra civile si combatte fra dei concittadini per dei valori. Andando a vedere i valori, i fascisti combatterono per sostenere i rastrellamenti dei nazisti e per riempire i vagoni diretti verso i lager tedeschi. Dall’altra parte gli antifascisti, in tutte le loro diverse forme, combattevano per fermare quei rastrellamenti e quei treni. E per me la differenza dal punto di vista dei valori è evidente.

Ma per la pacificazione, quella vera, che cosa possiamo fare?
La pacificazione nazionale deve basarsi su valori condivisi. La Costituzione è la restituzione formale e pratica della Resistenza antifascista e su questo si basano i valori della nostra Repubblica. La pacificazione può esserci quando tutti si riconoscono in questi valori: la tavola di valori era vera nel 1948 quando la Costituzione viene promulgata, ed è vera anche oggi, nel 2023, nonostante si assista a questi rigurgiti.

Quindi è sui valori antifascisti che si costruisce la pacificazione.
Sì. Una pacificazione reale non può basarsi sulla accettazione della demolizione di questi valori.

C’è chi dice che “quel fascismo”, quello in divisa da balilla, non tornerà più. E che quindi sarebbe assurdo parlare ancora di fascismo.
Beh, nessun evento storico può tornare in maniera diretta, questo lo capisce anche un bambino, perché il tempo va avanti. Però io sposo la lettura di Umberto Eco che parla di “Fascismo eterno” e che definisce il fascismo non come una ideologia, bensì come una retorica, un modo di definire le cose. Va sempre smascherato.

Come interpreta l’attacco di Gianfranco Fini che sfida Meloni a cogliere l’occasione del 25 aprile per dire che la destra ha definitivamente chiuso col fascismo?
La ritengo una presa di posizione molto interessante anche dal punto di vista di una visione esterna alle vicende politiche italiane: è un momento che si inserisce nel processo di travaglio interno della destra italiana che da decenni è a metà del guado nel tentativo di diventare una destra moderna e democratica.

A proposito di rigurgiti fascisti, non è che a forza di urlare al lupo al lupo si rischi paradossalmente di abbassare l’attenzione?
Io credo che questo sia un falso problema. Quando uno si dimostra fascista, io lo chiamo fascista. Non è un problema di semantica, quello che conta è la tenuta del racconto pubblico: oggi viviamo in un Paese in cui la festa di popolo per eccellenza, ossia il giorno della memoria della liberazione dalla dittatura, viene ancora considerata una data divisiva. Questo, vede, ci fa riflettere purtroppo anche sul consenso attorno ai valori fondanti della nostra democrazia.

Le recenti espressioni di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia che ricoprono alte cariche istituzionali, come ad esempio la famigerata citazione della “sostituzione etnica” da parte del ministro Lollobrigida, le ritiene pericolose o soltanto prove di “distrazione di massa”?
Sicuramente c’è il tentativo da parte di qualcuno, e mi riferisco in particolare al presidente del Senato Ignazio Benito Maria La Russa, di far prevalere la propria lettura storica che è la stessa da settant’anni; un’altra parte della compagine attualmente al governo del Paese invece usa queste espressioni solo per fare cortina fumogena rispetto a temi d’attualità di cui dovrebbe occuparsi.

E comunque buon 25 aprile.
Buona festa della Liberazione a tutti!













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