ciclismo

Saronni-Moser, storia di un selfie

I due eterni rivali si sono incontrati a Maso Warth, a Gardolo di Trento, e tra rosè e racconti di epiche "battaglie" è riaffiorato il ricordo di una caccia “speciale”


di Luca Pianesi


TRENTO. «Chi l’avrebbe mai detto detto, trentacinque anni fa, che avremmo visto Moser organizzare nella sua cantina un evento con Saronni protagonista? Roba da non crederci e per di più con tanto di gigantografie celebrative del “Giaguaro“ sulle botti d’acciaio del nostro “Sceriffo“. Incredibile». Erano increduli i tifosi, gli appassionati e gli ex ciclisti presenti sabato mattina a Maso Wart per la 34esima edizione della festa del “Nonno 'n bicicleta”. Tutti lì a stropicciarsi gli occhi: Saronni-Moser, Moser-Saronni, campioni assoluti del ciclismo mondiale, rivali in sella e, si diceva in quegli anni, molto distanti anche nella vita, insieme. Quasi amici. Seduti fianco a fianco a fianco a sorseggiare il nuovo rosè extrabrut del Checco. «Che ci posso fare, a me il vino piace – spiega Saronni sorridendo e strizzando l’occhiolino ai presenti – e Francesco, mi tocca ammetterlo, lo fa davvero bene. Ecco perché mi vedete qua per la seconda volta (la prima due anni fa per la presentazione di un libro del giornalista e scrittore Beppe Conti sul dualismo dei due campioni ndr) nella tana del mio rivale».

Rivali in mille “battaglie” combattute su salite e sterrati, discese e volate praticamente ovunque dal Giro d’Italia (Saronni ne ha vinti due, nel ’79 e nell’83, Moser uno nell’84 ma ha indossato la maglia rosa per 57 giorni terzo di ogni epoca alle spalle di Merckx e Binda) alle classicissime come la Parigi Roubex (il Checco ne ha vinte tre consecutive, Saronni nessuna e anzi al terzo successo del suo avversario, nell’81, la definì polemicamente «un ciclocross da abolire») testa a testa, spalla a spalla, sempre. In diverse occasioni anche da compagni di squadra: in Nazionale ci furono le coppe del mondo (nel ’77 fu Moser a vincere a San Cristobal, nell’82 toccò a Saronni a Goodwood); e addirittura nel Trofeo Baracchi in coppia.

«Prima che te lo racconti lui te lo dico io - scatta in volata Saronni anticipando Moser - quella era una gara che si correva proprio a coppie e nel ’79 ci avevano abbinato. Lui ha tirato come un disperato. Mi ha imposto un ritmo forsennato. E anche se avevamo più di due minuti di vantaggio sui secondi ha continuato a spingere. Pensavo volesse staccarmi». «Si diciamo che gli ho tirato un po’ il collo al Baracchi» replica il Checco. «Me l’ha tirato davvero - completa il “Giaguaro” - ma non mi ha staccato. Moser, va detto, le ha suonate a tutti ma gli unici due che, pur a fatica, sono riusciti a tenerlo a ruota siamo stati io e Hinault». Per la cronaca, poi, quel Baracchi i due lo stravinsero. In quegli anni si spartirono tutto: dalle vittorie ai tifosi che in Italia si dividevano tra saronniani e moseriani salvo un piccola “terza forza” composta dai sostenitori di Baronchelli.

«Ma con Gibi Francesco aveva vita troppo facile. Baronchelli andava forte ma di carattere era troppo buono. Al Checco gli serviva un tipo come me per rompergli le uova nel paniere», altra strizzatina d’occhio e sorrisone di Saronni lanciato al suo ex avversario. Ed è così che nel ’77 i due si incontrarono per la prima volta al Trofeo Pantalica. Saronni 19enne, al primo anno tra i pro, scatta Moser, 25 anni e già all’attivo vittorie al Giro, al Tour e che quell’anno avrebbe vinto il Mondiale, si alza sui pedali ma sulla sua strada trova una moto. «Gli ho rifilato una spallata, l’ho buttata per terra e mi sono fatto spazio ma ormai quel ragazzino era andato. Non l’ho più ripreso. Ma diciamoci la verità - bisbiglia a bassa voce il Checco scansando con la mano Saronni per non fargli sentire - forse quel giorno sarebbe finita così lo stesso. Quel giovane andava e ce ne siamo accorti tutti negli anni a venire». Nemici-amici dunque.

La stampa negli anni ha giocato sul dualismo «ma la rivalità era vera - riparte Saronni - anzi forse si è scritto anche meno di quel che accadde. Un esempio? Quando nel ’79 ci invitarono ad andare a caccia in una tenuta in Piemonte». «L’ho fregato anche lì - contrattacca Moser - ho fatto il pieno di fagiani. A lui gli ho fatto fare il portantino». «Col cavolo - si smarca ancora il “Giaguaro” - intanto lui aveva il patentino e a caccia ci andava spesso di suo. Io, invece, non lo avevo, però mio padre era un cacciatore e quindi sapevo sparare bene. Sicuramente meglio di lui - sorride -. Appena ha capito che lo avrei battuto anche lì ha cominciato a sparare direttamente ai rami coi fagiani ancora appollaiati». «Questo è come se lo ricorda lui - il “Checco” torna su Saronni e di volta a guardarlo - io mi ricordo che alla fine l’ho messo in riga anche in quell’occasione». La volata è lanciata e i due se la giocano al fotofinish ancora una volta. Il risultato? Sta lassù riassunto in quel selfie. Ancora una volta testa a testa, spalla a spalla. E la vittoria? Dipende da voi. Saronniani o moseriani?

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