TENNIS

Non solo campo, Sinner il “freddo” vuole abbracciare mamma e papà  

Dopo Sofia, impennata di popolarità per il 19enne di Sesto. Interviste e passaggi tv svelano così lati nuovi del fenomeno altoatesino, legato alla sua famiglia, alla sua terra e “devoto” a coach Riccardo Piatti. «Amo molto i miei genitori, ma vivere lontani è un sacrificio necessario»


Paolo Gaiardelli


Bolzano. Le stesse mani che hanno da poco alzato al cielo un importante trofeo, che da anni disegnano potenti ed efficaci traiettorie attraverso la racchetta, che risultano chirurgiche nei momenti decisivi di una partita, in questo istante hanno bisogno di un po’ di calore. Vittorie e notorietà servono anche a questo, a portare alla luce nuovi, o meglio altri aspetti della personalità di Jannik Sinner, il quale, dopo il recente titolo di Sofia, ha abbandonato per un attimo la sua usuale e genuina freddezza, lasciando intravedere anche il lato più umano, quello di un ragazzo di appena 19 anni, che, compiuto un nuovo importante passo nella sua scalata verso il vertice della classifica del tennis mondiale, cerca ora l’abbraccio dei suoi genitori. Un gesto semplice e tanto naturale, però attualmente negato dall’emergenza Covid: che ha fatto dell’Alto Adige un territorio off-limits, ma che il giovane talento del tennis azzurro - si scopre dalle dichiarazioni di questi giorni - spera non possa pregiudicare una visita di mamma Siglinde e papà Hanspeter a Bordighera, presso l’Accademia di Riccardo Piatti, dove Jannik si allenerà in vista della prossima trasferta in Australia, che farà scattare la nuova stagione.

La zona “rossa”

Del resto il forte legame con gli affetti più cari non è mai stato un mistero. Il ragazzo classe 2001 lo ha ribadito nelle recenti interviste, come anche sottolineato al nostro quotidiano all’inizio dell’estate, proprio al termine di un altro lockdown. «Amo la mia famiglia, i miei genitori sono il più grande sostegno in quel che faccio e in passato non mi hanno mai messo pressione addosso - ci disse -. Quando è possibile, è splendido passare del tempo a casa. Tuttavia, so che vivere lontano è un sacrificio che devo fare per il bene del mio tennis e negli anni mi sono abituato a questa condizione». Un rapporto forte, quello con mamma e papà, con il fratello Marc, con gli amici della val Pusteria con cui ancora è in contatto, che il giovane atleta, ora diviso tra la Liguria (dove si allena) ed il Principato di Monaco (dove ha la residenza), ha pure con il territorio dove è cresciuto, che di certo ha influito nelle scelte di vita e in qualche modo lo ha indirizzato. Lui, Jannik, rosso di natura, è il figlio di un Alto Adige laborioso, ora rosso nell’emergenza ma non per questo meno ambizioso, che ha trasmesso la stessa voglia di emergere ad un giovane innamorato ovviamente anche dello sci (all’età di 7 anni è stato campione italiano di categoria in gigante, ndr) e ispirato nel tennis da un modello local come Andreas Seppi. «Credo sia stato fondamentale, soprattutto a livello mentale, praticare due sport da piccolo - ci ha confessato Jannik lo scorso mese di giugno -. Ciò mi ha permesso di non dover per forza ottenere un risultato o di avere successo. Ero concentrato solo sul fatto di divertirmi e fare progressi, e non sul vincere per forza un match, nel tennis, o una gara, nello sci. Certamente il contesto in cui sono cresciuto mi ha aiutato e influenzato molto, così come tutto ciò che Andy (Seppi, ndr) ha fatto nel tennis. Dai titoli Atp, al fatto di essere arrivato nei top 20 al mondo: questi sono risultati che colpiscono, soprattutto i giovani che si trovano agli inizi».

La vera svolta

Ma chi punta ad arrivare in cima al mondo ed ha come idolo Roger Federer non può immaginare di non doversi confrontare con realtà differenti e non dover abbandonare, prima o poi, la propria comfort zone. È ancora conteso dallo sci, quando Jannik, il cui talento tennistico è coltivato a Brunico da Heribert Mayr e Andrea Spizzica, centra i primi risultati sul campo (una semifinale alla coppa Lambertenghi, la finale nazionale under 13) e, con essi, stuzzica l’interesse di Massimo Sartori, storico coach di Seppi, che proprio col suo allievo vuole farlo palleggiare durante il Challenger di Ortisei del novembre del 2014. Quel giorno, però, il tennista di Caldaro sta male, «e in campo con quel ragazzino ci sono finito io: sono uscito morto», ha raccontato più volte Sartori. È lui, allora, a convincere i genitori a portare quel giovane a Bordighera per sottoporlo all’attenzione di Riccardo Piatti. Qualche mese di assestamento e, nell’estate 2015, il ragazzo si trasferisce in Liguria, dove attorno a lui si forma un team composto – oltre che da Piatti – anche da Andrea Volpini e Cristian Brandi. «Il momento chiave è stato quello - così Sinner quest’estate -. La mia famiglia e le persone intorno a me hanno riconosciuto questa occasione come una reale possibilità per fare il salto e avevano assolutamente ragione».

Dietro al campione un grande gruppo

Sinner all’inizio della sua nuova avventura non eccelle, ma si allena, e non demorde. Per gioire bisogna attendere fino al febbraio 2019, quando vince il suo primo Challenger a Bergamo; poi arrivano i successi nei Futures di Trento e a Santa Margherita di Pula, prima di primeggiare ancora nei Challenger di Lexington e Ortisei. È qui, a pochi chilometri da casa, dove trionfa dopo aver strabiliato alle Next Gen Finals di Milano, che si percepisce chiaramente come la scelta fatta qualche anno prima sia stata azzeccata. Quello che accadrà dopo è storia recente e conosciuta, dai quarti di finale al Roland Garros al primo titolo Atp della carriera. «Il segreto è il lavoro quotidiano col mio team - dice il 19enne al Tg1 - e con tutte le persone che ti stanno vicino». Si fa squadra, dunque. Anche in uno sport individuale come il tennis, dove al talento bisogna abbinare tante altre qualità che permettano di eccellere davvero. «Durante la pandemia gli ho fatto vedere molte partite di grandi campioni come Federer o Djokovic - ha svelato Riccardo Piatti -. Di quelle sfide ho selezionato 40-45 minuti, i periodi in cui avevano giocato male. Volevo che Jannik capisse come erano comunque riusciti, in una situazione in cui non si stavano esprimendo al meglio, a cambiare il corso del match». Proprio ciò che ha fatto Sinner nella finale di sabato scorso con Pospisil. L’esempio lampante di come fare la differenza.

 













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