Sci alpino

Non è un’Italia per giovani quella del minimo storico

Nazionale mai così male come a Vail 2015 e St. Moritz 2017 nelle ultime otto edizioni. E i nostri atleti sono cinque anni più anziani degli svizzeri (7 medaglie)


di Maurizio Di Giangiacomo


TRENTO. Dice bene il presidente della Fisi, Flavio Roda, quando, riconoscendo il flop dell’Italia ai Mondiali di St. Moritz, sostiene che nella prima parte della stagione i suoi atleti hanno colto risultati importanti e conta che possano farlo anche nelle prossime gare di Coppa del Mondo. Ci mancherebbe, ce lo auguriamo anche noi. Ma il bilancio azzurro della rassegna iridata svizzera resta comunque uno dei più magri degli ultimi anni: solo a Vail/Beaver Creek, due anni fa, quando al digiuno dei maschi si aggiunse quello delle donne, abbiamo fatto peggio. Pur ritenendo quello di Garmisch 2011 (sei medaglie, con la strepitosa tripletta di Christof Innerhofer) un exploit, la prestazione offerta dai nostri in Engadina è comunque lontana dal rendimento medio dei primi anni Duemila – sui quali riteniamo sia bene concentrare la nostra attenzione, senza spingerci più in là – nel corso dei quali gli azzurri sono sempre saliti due/tre volte sul podio.

Fin qui lo sguardo all’indietro. Ma è volgendolo in avanti, agli ormai prossimi Giochi olimpici invernali di Pyeongchang 2018 – prossimi perché porre rimedi in 12 mesi, nello sport, è cosa quasi impossibile – che rischiano di arrivare le note più dolenti. In quasi totale assenza di ricambi, il rischio è che l’Italia dello sci alpino vi si presenti con i “soliti noti”. Fior di campioni, intendiamoci: assieme al già citato Innerhofer – per quanto malconcio – anche Peter Fill, Dominik Paris, Stefano Gross, Manfred Mölgg e le brave Federica Brignone, Sofia Goggia e Marta Bassino dovrebbero presentarsi all’appuntamento a cinque cerchi con legittime ambizioni di podio. Sperando in una crescita di Luca De Aliprandini e Riccardo Tonetti, bisogna però ammettere che dietro di loro c’è il vuoto, o quasi. E per gigante maschile e slalom femminile si può parlare tranquillamente di “allarme rosso”.

Tornando alle statistiche, abbiamo voluto cristallizzare il raffronto tra l’età media della squadra azzurra di St. Moritz e quella dei padroni di casa svizzeri, secondi solo alla superpotenza Austria e capaci di portare a casa ben sette medaglie. Ebbene, il dato è quasi impietoso: i nostri si attestano sui 30,16 anni, mentre gli elvetici non raggiungono nemmeno i 26 (25,75).

Uno dei pochi Under 30 davvero vincenti, nelle fila azzurre, è Dominik Paris, 27enne. Un atleta con una storia singolare, che dimostra la farraginosità (chiamiamola così...) del sistema di selezione della Fisi. Il carabiniere della Val d’Ultimo approdò infatti in Coppa del Mondo nel 2008, mettendo presto il mostra il suo indiscusso talento (nei 30 già l’anno successivo, ad appena 20 anni, in supercombinata a Beaver Creek). E vi arrivò quasi per caso: nella stagione precedente aveva vinto la classifica di superG di Coppa Europa e solo per questo motivo – in base alle regole della Fis – aveva avuto il posto nel circuito maggiore. Attenzione: lo fece senza mai essere passato per la Nazionale C. Per le gare di Coppa Europa i Paesi organizzatori hanno infatti un contingente di 30 unità, per comporre il quale la Fisi apre la partecipazione agli atleti dei Comitati, quale appunto il buon “Domme” nella stagione 2007/2008. Senza fare nomi, le porte della stessa Nazionale C erano state viceversa aperte a sciatori dei quali attendiamo ancora oggi l’“esplosione”.

È evidente che qualcosa non funziona, nel passaggio – delicatissimo – tra Comitati, Nazionali minori e squadra maggiore. Per Pyeogchang ormai è tardi, ma in ballo c’è il futuro del movimento.

Twitter: @mauridigiangiac

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