La pedalata di Moser non passa mai di moda

Inaugurato con tanta gente il museo della bici e delle maglie del grande Checco. Ma il giovane Ignazio si ferma e non prende parte alla Settimana Tricolore


di Gianpaolo Tessari


TRENTO. Un marchio, anzi un brand, come dice chi se ne intende: quale brand? Ma quello dei Moser, di Francesco (in particolare, ma non solo) che ieri ha festeggiato l’edizione numero 24 della sua pedalata. Una manifestazione a metà tra l’amarcord e lo sport che, come del resto il Checco, sembra aver fatto un patto con il diavolo per non invecchiare.

E così la cicloturistica che si snoda da Trento a Rovereto, sino alla salita spacca garetti di Maso Villa Warth, richiama ogni anno qualche centinaio di appassionati e mobilita diverse decine di volontari: al traguardo della casa-cantina di Francesco ecco dunque i gazebo alimentari, altri veri e propri stand di memorabilia, un servizio foto ricordo in tempi pressochè contemporaneo alla gara e, da ieri, uno splendido museo dedicato alla bici, alle maglie, insomma alla carriera di FrancescoMoser.

Il brand passa da Aldo prima a Diego poi, arriva al suo culmine con il Checco e trova nuova, straordinaria linfa, nell’approdo al professionismo di Moreno, il nipote che in tanti accostano al nome dello zione. E in casa Moser scalpita Ignazio, figlio di Francesco, che ieri aveva il viso imbronciato non solo dalla fatica della rampa di casa ma anche da una forma che non arriva e dalla (conseguente) forzata rinuincia a correre la Settimana Tricolore in Valsugana.

Ma andiamo con ordine. In 500 si trovano di buon mattino alla partenza della FrancescoMoser: in prima fila nomi che hanno fatto la storia del pedale come Motta, Dancelli, Zandegù e (molto più recentemente) Gibo Simoni: per i Moser, oltre al Checco, il figlio Ignazio e il nipote Leonardo, fratello di Moreno, a sua volta con un recente passato tra i pro.

Si pedala agili, tra loro un nutrito gruppo di orientali (interessati al vino a pure alle gesta del padrone di casa) e la vettura-scopa è comunque costretta a fare salire a bordo una decina di partecipanti, ci pare nessuno con gli occhi a mandorla, vinti dal caldo e dalla fatica. E dalle pance un po’ troppo prominenti.

Vabbè. Sul far del mezzodì si arriva nella piazzetta del borgo che è diventato Villa Warth e , assorbita la fatica, attende i valorosi in maglia verde pisello un bel pranzetto inaffiato da vini della casa.

Del museo abbiamo già scritto. Custodisce con un alto tasso di buongusto (onore e merito a Carla Moser, raffinata padrona di casa) le gesta di una carriera inimitabile: una pista in legno, bei giochi di luce, tante bici e altrettante maglie: gialle, rosa, iridate, un delirio di colori e di successi. Un’attrazione in più per una casa che è meta di una sorta di pellegrinaggio.

Tutto bene? Quasi. Una notarella stonata, che non ha rovinato la festa eh, è prendere atto che il giovanissimo di casa, Ignazio, non va. «Non pedalo come dovrei e potrei fare. Qualche cosa non ha funzionato nella preparazione invernale con la mia nuova squadra, la Trevigiani, e gli esami clinici hanno confermato che ho una serie di valori piuttosto sballati. A questo punto - osserva Ignazio sfilandosi gli occhiali da sole colorati - ho preferito fermarmi. E ripartire per non compromettere la seconda pate della stagione».













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