Le storie

Il tennistavolo come terapia: «Così sfidiamo la disabilità»

Ada Cappelletti ha subito un terribile incidente nel 2019 ed è rinata con una racchetta in mano: «Ora voglio aiutare chi come me ha dovuto cambiare vita». Il meranese Samuel De Chiara invece punta alle Paralimpiadi

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Aliosha Bona


BOLZANO. «La disabilità mi ha costretta a tanti sacrifici e a cambiare la mia quotidianità, ma mi ha restituito una vita migliore. Oggi mi sento fiera di ciò che sono diventata e di come ho reagito dopo l'incidente. E molto lo devo al tennistavolo». Ada Cappelletti, bolzanina di 26 anni, è viva per miracolo dopo che un furgone, nel novembre del 2019, l'ha travolta mentre stava attraversando via Volta sulle strisce pedonali.

Per tre settimane ha lottato nel reparto di rianimazione del San Maurizio e in tempi record ha ripreso in mano la sua vita. «La riabilitazione, le cure e la fisioterapia sono state affiancate ad un percorso di terapia - prosegue - L'ospedale mi ha proposto diverse attività sportive e tra queste c'era il tennistavolo. Non lo avevo mai provato prima: è stato amore a prima vista». Nel giro di un anno e mezzo si è qualificata per i campionati italiani e ora sogna le Paralimpiadi.

Assieme a Cappelletti, nell'incontro in redazione con i giornalisti dell'Alto Adige, c'era anche Samuel De Chiara, meranese, 32 anni, a sua volta affiliato alla società "Asv TT Sudtirol" di via Maso della Pieve: «Sono nato prematuro, alla ventiseiesima settimana - racconta De Chiara - Ho avuto un'emorragia cerebrale e soffro da sempre di emiparesi (una perdita parziale della funzione motoria di una metà del corpo, ndr)».

De Chiara, campione di vita prima che di sport, ha incrociato per caso la passione per il tennistavolo: «Cominciai a 13 anni durante un campeggio dove c'erano solamente un tavolo e due racchette. Non appena tornai a casa contattai una società e da quel giorno partì la mia carriera. Nel 2013 ho conquistato un posto in nazionale, mentre nel 2017 mi sono laureato vicecampione europeo. Ho partecipato ai Mondiali e sono arrivato alla diciottesima posizione del ranking internazionale. Le Paralimpiadi? Mi mancano, ma non è troppo tardi».

È uno sport longevo, il tennistavolo, soprattutto se si parla di atleti paralimpici. De Chiara assicura che si può giocare ad alti livelli anche «oltre i 40 anni» perché è un «gioco tattico più che di velocità». La vera definizione, che fedelmente ci riporta, è del suo primo maestro: «È come fare i 100 metri giocando una partita di scacchi. Un insieme di fatica fisica e psicologica, ogni palla è diversa e quindi devi adattare il tuo gioco all'avversario. C'è grande strategia e pensiero dietro ad ogni colpo».

Ada Cappelletti invece non ne può fare a meno perché «è uno sport molto schematico, che sembra fatto apposta per le persone iper-organizzate come me». Ciò che differenzia i due altoatesini è il tipo di disabilità. L'utilizzo della carrozzina, come nel caso di Ada, permette di muoversi avanti e indietro, non ai lati: è il tronco che fa la maggior parte del lavoro e permette all'atleta di muoversi a destra e a sinistra. Mentre se l'atleta è tetraplegico si lega la racchetta al braccio. Per garantire un equilibrio all'interno dei singoli match i partecipanti sono suddivisi in classi (da 1 a 10) in base al livello di disabilità fisica.

Il gap con i normodotati
Quando si parla di disabilità nello sport spesso e volentieri viene rimarcata la distanza tra gli atleti olimpici e paralimpici. Come se fossero due mondi staccati, che non si incontrano mai. «Ma nel caso del tennistavolo il vero gap da colmare è quello con gli altri sport. Il nostro non si vede in tv, fatica con gli sponsor e ha un numero relativamente basso di iscritti, circa 13 mila in tutta Italia», sottolinea De Chiara, andando alla radice del problema, «I ragazzini si avvicinano a noi attraverso il parco giochi, a quello che tutti chiamano "ping pong". Questo passaggio dall'amatoriale all'agonistico è molto complicato perché la maggior parte si stufa dopo un paio di lezioni. I ragazzi di oggi non si applicano così tanto come in passato. E penso sia dovuto alle troppe distrazioni che offre la nostra società».

Se il prossimo obiettivo di De Chiara ha la forma dei cinque cerchi, quello di Ada Cappelletti guarda al prossimo. A chi, come lei, affronterà un incidente: «Mi piacerebbe lavorare nelle unità spinali per dare consigli alle persone che hanno subito un trauma - conclude la bolzanina - Ho fatto dei corsi e sto aspettando che mi contattino per cominciare degli stage. Non voglio sostituirmi al medico, ma posso rappresentare un riferimento per chi non sa come approcciarsi al mondo in carrozzina. Se venisse concepito come un lavoro, come in altre parti del mondo, sarebbe un guadagno per tutti».













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