Nei campi

Il clima pazzo che fa tremare l’agricoltura: troppo caldo da due mesi, e tra un po’ l’incubo gelate

L’analisi di Massimo Prantil, storico tecnico di Esat e Fem: «La situazione attuale non fa presagire nulla di buono. Senza parlare dei costi delle materie prime alle stelle»


Carlo Bridi


TRENTO. Siamo ormai verso la fine febbraio e le condizioni metereologiche di questo inverno asciutto, con un mese e mezzo senza precipitazioni e con una temperatura molto superiore alla media stagionale, si stanno creando le condizioni per un anticipo della stagione agraria con le conseguenze ormai note, cioè il ritorno di freddo in marzo-aprile e le possibili gelate con danni che vanno da forti a drammatici in base allo stadio fenologico delle piante, e con ripercussioni pesanti sulle produzioni sia sul piano qualitativo che quantitativo.

Ma qual è la situazione nelle varie zone del Trentino, e delle Valli del Noce in particolare? Ne parliamo con Massimo Prantil, storico tecnico dell’Esat fin dagli anni Ottanta prima e della Fondazione Mach poi.

«La situazione ad oggi purtroppo non fa presagire nulla di buono. Se non ci sarà un brusco e forte abbassamento della temperatura che possa frenare lo sviluppo fenologico, si stanno creando le premesse per mettere in conto le gelate che ormai a fine marzo-prile arrivano quasi ogni anno, e a differenza del passato trovano le piante di melo e delle drupacee con una vegetazione ormai avanzata e di conseguenza i danni da gelo possono essere molto maggiori che in passato. La ragione è molto semplice: con oltre 10-5 giorni di anticipo il rischio è molto forte».

Ma, commenta Prantil, «questa è la conseguenza delle modificazioni climatiche in corso».

Un altro problema con il quale i frutticoltori da anni devono fare i conti è quello dei classici danni da selvaggina: cervi, caprioli, lepri. Com’è la situazione quest’anno? «Va detto che a differenza degli ultimi anni ad oggi non si riscontrano danni particolari. Certo, l’inverno con pochissima neve ha influito».

Aldilà di questi rischi e danni come si presenterebbe la stagione, come sono le gemme a fiore? «Siamo in presenza di un anno che, particolarmente nelle valli del Noce, ha visto un altissimo numero di mele prodotte lo scorso anno, poi la produzione non è stata eccezionale perché la pezzatura è rimasta piuttosto piccola.

Di conseguenza particolarmente in Val di Non le gemme con induzione a frutto, al momento attuale non sembrano così forti come lo scorso anno ma le cose possono ancora migliorare, molto dipende dall’andamento climatico dei prossimi mesi».

Dal punto di vista sanitario, cimice asiatica in testa, quali sono le prospettive per quest’anno?

«Sicuramente gli insetti antagonisti diffusi lo scorso anno per la lotta naturale alla cimice asiatica danno buone prospettive di un cambiamento seppur graduale della situazione. Invece sta tornando a preoccupare la fitoplasmosi degli scopazzi del melo la cui presenza dai monitoraggi effettuati risulta in netto aumento».

Ma sullo sfondo rimangono le due preoccupazioni fondamentali. «La prima è quella dell’ormai consolidato cambiamento climatico che porta con se eventi estremi come gravi gelate, grandinate forte vento e bombe di pioggia alternate a periodi sempre più lunghi di siccità.

E poi i frutticoltori in questa ormai prossima primavera dovranno fare i conti con un altro problema imprevisto: i grossi aumenti di tutti i mezzi di produzione, dai concimi con aumenti che vanno dal 50 al 100%, ai carburanti ai fitofarmaci. A proposito di questi i produttori sono ben coscienti del fatto che entro il 2030 dovranno procedere a ridurre del 50% l’uso dei fitofarmaci secondo le direttive dell’Ue.

Concludendo il tecnico non è pessimista: «Sono convinto del ruolo centrale del frutticoltore che sfruttando al meglio le esperienze passate potrà adeguarsi anche agli obiettivi molto ambiziosi fissati dall’Unione europea. Da parte nostra abbiamo la biodiversità assicurata dai boschi che spesso confinano con i nostri frutteti, boschi che sono una grande risorsa di biodiversità fondamentale per essere più sostenibili», conclude Prantil.













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