Cave di porfido, si cambia: qualità e tutela del lavoro

Olivi presenta la riforma del settore: unità della filiera, tracciabilità, innovazione Verifiche sugli stipendi. L’assessore: non c’è spazio per chi non rispetta le regole



TRENTO. Basta con le microimprese, di cui si può soltanto stimare il numero dei dipendenti, che hanno contratti instabili. Basta anche con la mancata tracciabilità del prodotto e la lavorazione di secondo livello, quella che dal grezzo porta al prodotto finito, demandata altrove. Ci vogliono certezza sul materiale estratto, che verrà pesato, maggiore qualità, tutela della sicurezza sul lavoro e rapporti chiari tra Comuni e Asuc. Sono i capisaldi del disegno di legge per il settore del porfido in Trentino, approvato ieri in via preliminare dalla giunta provinciale e presentato in conferenza stampa dal vicepresidente e assessore alle attività economiche Alessandro Olivi.

Un settore, quello delle cave, che viene da anni di crisi nera e di dure battaglie del sindacato e dei lavoratori per la tutela dei livelli occupazionali. Dal 2000 al 2014 gli addetti si sono dimezzati (da 1250 a 625, oggi la media è di 8,5 dipendenti per azienda) e la produzione ha fatto segnare un calo da 1.466.000 a 820.000 tonnellate di porfido estratto. «Un sistema debole - ha detto Olivi - ma che con nuove regole può vedere i buoni imprenditori smettere di subire la concorrenza dei peggiori».

Gli obiettivi principali del provvedimento si possono riassumere in quattro punti: nuove regole per la lavorazione del materiale grezzo, per attuare una vera e propria filiera produttiva, competenze provinciali su politiche di indirizzo e di coordinamento, per garantire misure di sistema finalizzate ad alzare gli standard qualitativi dell'attività estrattiva, qualità e sicurezza del lavoro, nuovi rapporti tra Comuni e Asuc per una più efficace gestione (dove c’è l’Asuc, primo titolare del diritto reale, se dirà no il giacimento uscirà dal piano cave). Per le nuove concessioni, a mano a mano che si andranno ad assegnare i nuovi lotti con le gare (sono 54 le concessioni pubbliche, per circa tre quarti in scadenza dal 2020 al 2023) - questo il cuore della riforma - viene introdotto l’obbligo di lavorare con propri dipendenti l’80% del materiale che la cava è in grado di produrre e di rendere tracciabile (per esempio con la pesatura obbligatoria) il materiale che viene ceduto a terzi. «Ma anche per le concessioni in essere - ha chiarito Olivi - verranno stabiliti adeguamenti progressivi per avvicinarsi all’obiettivo». Già oggi, secondo l’assessore, metà dei concessionari già effettua anche la lavorazione di secondo livello.

«Con questo disegno di legge - ha sottolineato Olivi - vogliamo dare un futuro a un bacino economico e sociale che ha urgente necessità di cambiare. Vogliamo salvaguardare le migliori competenze e garantire la qualità del prodotto e del lavoro. Il settore estrattivo ha ancora un suo potenziale, ma che per evitare il declino debba adeguarsi agli standard di una economia moderna. Serve una svolta coraggiosa che, con il contributo responsabile di tutti gli attori del sistema, affronti i veri problemi che pesano sul settore. Vogliamo che siano valorizzate le imprese migliori, che traggono profitto dalla lavorazione di un bene pubblico nel rispetto di regole a tutela del lavoro e dell'ambiente, e che scelgono di puntare sulla qualità, sull'innovazione, sugli investimenti e su una vera e propria filiera territoriale e produttiva».

Occhi puntati in particolare sulla qualità e sicurezza del lavoro: prevista una clausola sociale per promuovere la stabilità occupazionale in caso di nuovo affidamento della concessione e un’ipotesi di decadenza della concessione in caso di violazioni. Introdotta anche una verifica della regolarità delle retribuzioni e dei contributi. «Non c’è più spazio per chi agisce fuori dalle regole», avverte Olivi.

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