Tetto e mansarda distrutti dalle fiamme 

Levico Terme, il rogo ha incenerito la parte alta della casa di Gino Weiss. Un corto circuito è la possibile causa dell’incendio


di Franco Zadra


LEVICO TERME. Erano da poco passate le 10, ieri, quando la sirena sul tetto della chiesa ha emesso un lungo e lamentoso allarme che in un momento ha squassato il tranquillo affaccendarsi di un solito giovedì mattina levicense. «Sembrava un allarme antiaereo – dice un passante -, non siamo più abituati alla sirena perché oggi i pompieri hanno tutti il cicalino e vedono di disturbare il meno possibile».

L’ultraottantenne Gino Weiss, ex dipendente della Cassa Rurale, fisico atletico a sfidare gagliardo la bianca chioma sul capo, ciclista appassionato, in quel momento è al bar con degli amici, un centinaio di metri a valle di dove abita, e subito vede arrivare un conoscente che gli comunica «è casa tua che brucia!». Quella rossa in vicolo per Vetriolo è la casa “del Gino”, dove abita con la figlia e il marito cardiologo. Nessuno si poteva aspettare un evento del genere.

In pochi minuti al domicilio di vicolo vetriolo 18 si è precipitato il mondo. Pompieri volontari di Levico con l’autopompa, ma anche di Caldonazzo, Calceranica, e Pergine con l’autoscala, oltre alcuni permanenti di Trento per i rilievi peritali di rito. Il fuoco è divampato dal centro del tetto della villetta a tre piani, le vampe sono alte anche più di cinque metri hanno davastato la mansarda che conteneva armadi guardaroba, valige, scatole piene di libri e vecchi fumetti. Un formicolio di vigili del fuoco protetti dagli autorespiratori, ha percorso alacremente il tetto gettando di sotto la copertura, mentre altri con delle manichette hanno cominciano a raffreddare la parete da dove probabilmente era partito l’incendio. Non c’è voluto molto per un tale schieramento di uomini e mezzi, per avere ragione dell’incendio e metterlo sotto controllo. Poi però le operazioni di messa in sicurezza e copertura del tetto con un telo di nylon si sono protratte fino alle 19.

La villetta è circondata da cumuli di tegole gettate dal tetto, tizzoni anneriti delle travi e delle perline della copertura. La sera ancora una decina di volontari è al lavoro per la sistemazione del tetto.

Bruno Lasta con il camioncino della sua impresa è stato tra i primi a mettersi a disposizione per dare una mano e a provvedere di procurare materiale utile ai pompieri per sistemare le cose. «Questo tetto – dice Lasta – l’abbiamo rifatto nuovo noi nel 1986. Poi avevo dato una mano a sistemare in mansarda quella marea di libri che ora è andata distrutta».

«Fortuna che non è successo di notte», ci dice Gino Weiss con uno piglio da sportivo di classe che non si lascia abbattere da niente, e insiste ironico sulla parola “fortuna”. «Non erano locali che si frequentavano – dice ancora -, ma li utilzzavamo come ripostiglio. Avevamo tre grossi armadi guardaroba e molte scatole piene di libri. Ora rifaremo tutto nuovo». Il sorriso aperto di Gino mette sicurezza e tranquillizza i molti vicini e passanti che lo salutano salendo per il vicolo.

«Sulle cause dell’innesto – dice il comandante dei volontari di Levico, Ezio Acler – non abbiamo certezze al cento per cento, ma con molta probabilità, dovendo per forza escludere quelle che sono le cause “classiche” come l’incendio di una canna fumaria, poiché non vi sono camini in quella zona del tetto, e neppure il malfunzionamento della caldaia, l’unica risposta sembra essere un corto circuito su un portalampade esterno nella facciata a est. Forse un filo allentato nel portalampade che ha prodotto una micro combustione del materiale plastico che può essere continuata anche per alcune ore prima di innescare l’incendio che poi ha interessato le vicine imposte della finestra e la copertura spiovente del tetto».

Qualcuno in casa aveva notato al mattino presto le luci accese, ma la casa appare ben tenuta. «Sono le cose – conclude il comandante – che è difficile mettere in conto dal punto di vista della prevenzione e quando capitano c’è solo da sperare di poter intervenire in tempo».













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