La piaga

Uomini violenti, un progetto per portare dei veri «CambiaMenti»

Il lavoro di Alfid per aiutare a prevenire le violenze di genere. La presidente Dorigotti: «Molti vengono per opportunismo consigliati dall’avvocato per avere pene più lievi, ma i nostri operatori sanno riconoscere le motivazioni autentiche»


Fabio Peterlongo


ROVERETO. «Io posso scegliere. Scelgo di cambiare». Questo è il titolo con cui si presenta il percorso anti-violenza per uomini maltrattanti “CambiaMenti”, organizzato dall’Associazione Laica Famiglie in difficoltà (Alfid) e dall’Associazione Famiglia Materna di Rovereto. Sospeso a marzo 2020, il percorso sta per ripartire e si rivolge a tutti gli uomini che riconoscono di avere un drammatico problema: commettono maltrattamenti fisici e psicologici ai danni delle compagne, spesso sotto agli occhi dei figli. Inaugurato nel 2014, in Trentino il percorso “CambiaMenti” ha visto l’adesione complessiva di circa duecento uomini, di cui 120 hanno completato il percorso.

Da quest’anno ci sono alcune importanti novità. Con l’introduzione della legge “Codice rosso” del 2019 che mira a prevenire e a punire più fermamente le violenze domestiche e di genere, la partecipazione ai percorsi riabilitativi può essere “ordinata” dal giudice titolare dell'eventuale procedimento giudiziario e può portare ad altre forme di condanna o riduzione della pena. Si affaccia dunque il rischio che a questi corsi prendano parte persone spinte dal puro opportunismo di vedersi alleggerita la condanna. Lo ha confermato Sandra Dorigotti, presidente Alfid, che però non si scompone: «Molti vengono su consiglio dell’avvocato, ma i nostri operatori sono in grado di riconoscere le autentiche motivazioni di chi vuole prendere parte al progetto».

La legge sul “Codice rosso” ha apportato un’altra novità. Tagliati i fondi pubblici per i corsi, l’intero costo del percorso ricade sull’utente, per la cifra di 2000 euro complessivi: «La legge indica che i corsi di riabilitazione devono essere organizzati senza oneri per lo Stato e la stessa Provincia di Trento non ha rinnovato il sostegno economico, sospendendo le erogazioni anche per gli utenti non coinvolti in procedimenti giudiziari», ha spiegato Dorigotti che su questo punto lancia un richiamo alle istituzioni: «La norma è stata interpretata in maniera troppo rigida. Le istituzioni devono investire sulla rieducazione degli uomini maltrattanti perché è dimostrato che la rieducazione salva le vite. E se è vero che gli uomini violenti appartengono a tutti i ceti sociali, senza nessuna distinzione tra ricchi e poveri, per gli uomini con scarsi mezzi economici dover sborsare una somma non indifferente rischia di allontanarli».

Ad una fase preliminare di sette incontri, in cui gli operatori di Alfid e Famiglia Materna valutano l’idoneità della persona all’intervento rieducativo, segue una seconda fase che comprende l’effettivo intervento, con ventuno incontri di gruppo a cadenza settimanale. Nel corso degli incontri, agli utenti vengono dati gli strumenti per una presa di coscienza della propria condotta violenta: si delinea che cos’è la violenza, si procede verso il riconoscimento delle emozioni negative e si applicano le tecniche di controllo della rabbia per prevenire simili condotte.

Presidente Dorigotti, partiamo da una domanda maliziosa: perché lo Stato dovrebbe farsi carico di questi costi? Ragionando “di pancia” si può pensare che queste persone sono responsabili di violenze e delitti, paghino il percorso di tasca loro.

Partiamo da una considerazione di fondo: la violenza è un comportamento nella maggior parte dei casi appreso e così come viene appreso può essere abbandonato. I costi per l’iscrizione vanno a coprire solamente le spese per gli operatori, altamente qualificati. Esistono spese fisse, come quelle per le strutture, che Alfid e Famiglia Materna sostengono autonomamente. Prima dell’introduzione del “Codice rosso”, esistevano risorse pubbliche erogate dallo Stato o dalla Provincia che permettevano di ridurre la richiesta economica verso l’utente. Ora non è così, anche la Provincia ha sospeso queste erogazioni. Questo è l'esito di un'interpretazione troppo rigida della legge "Codice rosso". I percorsi di rieducazione per uomini violenti vanno a tutelare quel bene pubblico che è l’integrità psico-fisica di donne e minori riportando anche l’autore delle violenze a un migliore equilibrio. La comunità deve investire nella rieducazione perché la rieducazione salva delle vite. Di recente è stato aperto un tavolo di discussione per andare verso un progetto regionale di finanziamento, speriamo si concretizzi.

In che modo la rieducazione degli uomini violenti salva le vite?

Occorre mettersi nell’ottica di quella che viene definita giustizia riparativa. Ogni anno in Trentino ci sono circa cinquecento segnalazioni di maltrattamenti ed abusi. Dal 2014, circa duecento persone si sono rivolte a noi per prendere parte al corso anti-violenza e di queste in 120 hanno completato il percorso. Possiamo dunque supporre che il percorso abbia sottratto alla violenza decine, se non centinaia, di vittime. È un bene sociale incomparabilmente prezioso.

Succede che queste coppie ricostruiscano la loro convivenza o si va sempre verso la separazione?

Voglio precisare che lo scopo di Alfid non è quello di favorire la ricostituzione delle convivenze, ma è quello di favorire un rapporto libero ed equilibrato, tenendo presenti le necessità delle persone più vulnerabili e dei figli. Accade che alcune coppie si rimettano insieme: se ciò avviene, è bene che succeda dopo che la persona maltrattante ha compiuto un percorso di revisione profonda dei suoi comportamenti. Tenendo presente che noi continuiamo a tenere contatti con la persona maltrattata anche dopo la fine del percorso di rieducazione.

Com’è possibile che alcune donne continuino a rimanere insieme ad un partner violento?

Gli uomini maltrattanti tendono a ripetere i comportamenti distruttivi verso il partner e i figli, a volte a distanza di tempo. C’è quella che viene definita la “luna di miele”, che segue le crisi violente e che è contraddistinta da comportamenti molto affettuosi che vogliono “riparare” o far dimenticare gli abusi. È questo l’elemento che rende così difficile la separazione. Ma la luna di miele prima o poi finisce e le violenze ritornano. E considerato il fatto che non sempre queste coppie si separano, è interesse della donna quella di avere accanto un uomo capace di tenere sotto controllo la sua rabbia.

Quali sono le motivazioni soggettive che spingono l'uomo maltrattante ad intraprendere questo percorso?

Le ragioni più frequenti che portano la persona artefice di violenza a rivolgersi a noi sono nell’ordine: consiglio del legale, spinta degli assistenti sociali, pressione da parte di amici e familiari. Raramente la persona si rivolge a noi di sua spontanea iniziativa, anche se ci sono stati alcuni casi. Dall’entrata in vigore della legge "Codice rosso", il percorso di rieducazione può essere ordinato dal giudice, diventando “prescrittivo” e può portare ad altre forme di condanna e/o riduzione della pena.

Temete una corsa all’iscrizione da parte di uomini spinti da ragioni di pura convenienza?

Per certi versi quest’innovazione rappresenta un passo in avanti positivo, perché sono di più le persone che intraprendono un percorso di ricostruzione di sé. Dall’altra complica le cose perché in questi casi manca la motivazione e sono forti le “resistenze” nei confronti del percorso. Si rischiano contro-effetti capaci di minare l’integrità del gruppo. Ma noi lavoriamo proprio per evitarlo.

E come riuscite a individuare i candidati “irricevibili”?

Il candidato viene sottoposto ad una serie di colloqui preliminari in cui viene verificata la disponibilità della persona ad intraprendere un percorso genuino. Non tutti vengono accolti: non possiamo rischiare che l’integrità del gruppo venga messa a rischio da una singola persona che mostri un’inclinazione alla violenza troppo esacerbata. Ma assicuro che le persone con autentici disturbi mentali sono molte meno di quanto si possa immaginare. In generale, gli uomini maltrattanti sono quelle che definiremmo “persone normali”, capaci di funzionare molto bene in altri ambiti, come quello del lavoro.

Ritiene che l’uso di alcol e stupefacenti sia un elemento diffuso tra gli uomini maltrattanti?

È in parte un luogo comune. Mi sento di dire che tra gli uomini maltrattanti l’abuso di alcol e stupefacenti è diffuso né più né meno quanto nella popolazione generale, quasi marginale. Ripeto: sono uomini “normali”, capaci di gestire in maniera ordinaria altri aspetti della loro vita.













Scuola & Ricerca

In primo piano